È passato meno di un mese, e la crisi di governo ha trovato una conclusione, vedremo quanto duratura. Sono state settimane di gesti inattesi, fin dal primo innesco, di rivolgimenti e di negoziati. Sulla ribalta si sono via via affacciati tutti i protagonisti – Salvini che decide di rompere, Renzi che spariglia, Grillo che sostiene, Zingaretti che media, Di Maio che insiste e resiste, Franceschini che già aveva anticipato tutto, Casaleggio jr. che certifica– e un grande numero di comprimari, volti noti o sostanziali debuttanti. Una tra le figure più rilevanti, però, per tutto questo tempo complicato e incerto è rimasta (volutamente) in ombra, fuori dall’attenzione, lontano dalle telecamere: Rocco Casalino, portavoce e capo ufficio stampa del Presidente del Consiglio, suo stretto consulente e spin doctor. Piuttosto curioso, per una persona che ha trovato la sua prima ribalta dentro la Casa del Grande fratello, ma significativo. Perché se Giuseppe Conte1 alla fine è riuscito a passare la campanella a Giuseppe Conte2, dopo giorni di incertezza e contro quasi ogni aspettativa, una parte del merito è senza dubbio anche sua. E certo non è un caso che le sue prime foto dopo qualche tempo arrivino direttamente dal giuramento al Quirinale.
Di Casalino sappiamo molto, e insieme non conosciamo quasi nulla. Ci sono gli indizi lasciati prima nella sua carriera televisiva (alla corte di Maurizio Costanzo, o sulle reti locali lombarde) e poi in quella politica (con l’avvicinamento tempestivo e lungimirante al Movimento 5 Stelle), certo, e gli scandali, le dichiarazioni improvvide, le registrazioni audio e video. Di Casalino sappiamo molto, e insieme non conosciamo quasi nulla: è un tessitore, apparentemente secondario. È un maestro della manipolazioneMa forse il modo migliore per capire qualcosa di più, per grattare sotto la superficie, è proprio tornare a quella primissima edizione del Grande fratello, correva l’anno 2000, a riguardare pezzi del programma, a rileggere tutte le discussioni fiorite intorno alla trasmissione e a quei personaggi, ancora acerbi e piuttosto inconsapevoli, capaci però di bloccare, in modo trasversale, un Paese intero per quasi 100 giorni. Senza preconcetti: in fondo il reality show, non solo in Italia, è stato lo specifico televisivo dei primi anni Duemila, un genere insieme allineato e (con il senno di poi) anticipatore di uno «spirito del tempo» destinato a durare. E senza giudizi negativi: la popolarità e significatività eccezionali di quella prima edizione (diverso è il discorso per quelle seguenti, meno ingenue e senza il pregio di un’inedita rottura dei vincoli della rappresentazione) obbligano, ed è un bene, a (ri)leggere il fenomeno in modo neutro, a capire le ragioni dello spettacolo. Tornare lì aiuta a dare prospettiva. Forzando certo la mano, possiamo pensare che siano proprio le esperienze fondative del passato, come riti di passaggio e sliding doors, a stabilire più di ogni altro tra i tanti fattori possibili la persona che si diventa in futuro, anche a distanza di anni. Vale la pena dare un’occhiata.
Rocco Casalino al primo Grande fratello, dicevamo. Mentre tutti si concentravano sui protagonisti, il macho dai risvolti intellettuali Pietro Taricone e la provocante e consapevole Marina La Rosa, e mentre vinceva la bagnina di Iseo, l’underdog Cristina Plevani, sedotta e abbandonata dal suddetto Taricone, ecco che senza dare nell’occhio l’ingegnere Rocco arriva alle soglie della finale, eliminato con una sola settimana di anticipo, dopo aver superato indenne il resto del programma. Internet non dimentica nulla, e sul sito ufficiale dedicato alle varie edizioni del Gf è rimasta la sua scheda di presentazione, in forma di sintetico questionario. E si trova praticamente già tutto lì, la tensione non pienamente corrisposta verso la fama e la visibilità – «Perché vuole partecipare al programma? Perché è un maledetto esibizionista e voyeur. […] Cosa gli piace? Qualsiasi cosa che gli dia piacere fisico e intellettuale. […] Dove si immagina tra 10 anni e come? Dirigente, presentatore tv o attore in una soap opera» – e un’ambizione sfrenata – «La vittoria o il successo più importante: deve ancora arrivare. […] Che cosa dicono di lui i suoi amici? Uno stronzo che si fa volere bene. […] Commento libero: giustamente presuntuoso». Con una discreta chiarezza e precisione negli intenti, peraltro: «Professione sognata: medico o politico. […] Ambizione massima: diventare primo ministro o amministratore delegato di una multinazionale». Che dire: quasi.
Nella Casa, Rocco sta sempre un passo indietro, si mimetizza, smussa e appiana. È la spalla fedele del maschio-alfa, è il confidente della femme fatale (e, solo tra tutti, a ottenere da lei persino un bacio). È un tessitore, apparentemente secondario. È un maestro della manipolazione, come rivendicherà più volte appena uscito: per sei settimane nessuno lo nomina, e anche quando succede, per il passare del tempo, il restringersi del campo e l’inevitabile scoprirsi dei giochi, non finisce comunque alla prova del televoto; solo in semifinale affronterà il giudizio degli spettatori, non prima di aver convinto gli altri concorrenti a fare in modo che in nomination finissero tutti e quattro. La sola vera ribalta, l’unico sondaggio degli umori e desideri del pubblico gli è fatale, lo fa uscire un attimo prima. Casalino sta sotto l’occhio delle telecamere per più di novanta giorni, con una scaltrezza e predisposizione al gioco maggiori di molti suoi compagni. Probabile che abbia preso appunti, e che questi, chissà, gli siano tornati utili anche per tessere la tela sua e di Conte in queste settimane. Uno, la necessità di parlare con tutti, senza particolari scrupoli sui commensali, obbligati al governo come nella Casa, senza che idee o valori di sorta possano fermare le trattative: nella prima edizione del Gf c’era gente di ogni provenienza geografica, con parziale prevalenza del Sud, e ogni opinione politica, dall’arrembante pr milanese alla «papagirl» sarda, dal cuoco vicentino al pizzaiolo siciliano e alla rifondarola pugliese; serve stare in mezzo, così da muovere le cose senza esporsi o prendere posizione. Due, la forza dei legami deboli, delle relazioni prima tessute e poi messe in discussione nella lotta per un potere fine soltanto a se stesso, fondato sul vuoto: non c’è poi chissà quale differenza tra le mezze parole dette per influenzare le nomination della settimana o fissare i turni della cucina e le mezze indiscrezioni fatte trapelare in vista dell’obiettivo, i messaggi su Whatsapp ai giornalisti in diretta, le imbeccate sussurrate all’orecchio di questo o quello. Tre, la comprensione che certo la visibilità è potere, ma il potere di chi non si fa veder troppo è ancora più forte: ci sono stati vari inciampi ed errori, è servito del tempo, la voglia di diventare personaggio era parecchia, ma quest’ultima esperienza testimonia il cambio di passo, la tenacia costante ma esercitata altrove, dove conta davvero. Ci sono stati vari inciampi ed errori, è servito del tempo, la voglia di diventare personaggio era parecchia, ma quest’ultima esperienza testimonia il cambio di passo
Nel deserto dei palinsesti estivi, la «maratona» di Enrico Mentana quasi ogni pomeriggio su La7, e con lei tutte le altre analoghe dirette politiche a getto continuo, sono state in fondo un surrogato di quel primissimo Grande fratello, trasmesso ventiquattr’ore al giorno, sette giorni a settimana: non c’è più Daria Bignardi ma il giornalista di turno; i ragazzi concorrenti sono sostituiti da politici di primo piano e da seconde file scalpitanti, da giornalisti di punta e da analisti esordienti recuperati al volo perché gli altri erano ancora in ferie; ore e ore sono costruite sul nulla, nell’attesa di una porta che si apre o di qualcuno che passa di lì, ma attirano e coinvolgono un pubblico ampio e trasversale. Naturale allora che in questo contesto, anche se spesso in absentia, chi è già passato dal reality «vero» si sappia muovere bene. Stavolta Rocco, che rischiava di nuovo di fermarsi poco prima della finale, è riuscito a traghettare il suo assistito, e se stesso, in una nuova stagione. Poi dicono che la popular culture, i media e la televisione non servono a niente: adesso la Casa è il rinnovato consiglio dei ministri, e l’esperimento sociale potrà continuare.
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