I dati del Guttmacher Institute indicano che, ovunque ci siano leggi che consentono l’interruzione volontaria della gravidanza (Ivg), questa è in calo, anche in Italia. Eppure, negli ultimi anni in molti di quei Paesi, inclusa l’Italia, si sono accese polemiche sull’aborto e le leggi che lo regolamentano. Basta una rapida occhiata alla letteratura per vedere che a dimostrarsi preoccupati – ossessionati? – da questioni relative all’aborto sono più spesso uomini che donne. L’interesse nei confronti del tema sembra infatti nascere soprattutto da campagne denominate pro-life o “teoria gender”, i cui portavoce sono spesso uomini.D’altra parte, anche in ambito storiografico, nonostante nell’ultimo secolo e mezzo la storia delle donne a opera di donne sia diventata via via più ricca, i testi importanti (o più citati) su questioni di donne e sessualità restano quelli degli uomini. Su qualsiasi tema gli uomini sono più citati delle donne, ma su questioni di sesso sono imbattibili, anche quando si tratta di allattamento, come già nel caso del botanico Linneo. Si tratta di una tradizione colta antichissima che ha spesso condiviso con la società, anche la meno acculturata, l’equazione donna = sesso. Questo spiega come sia possibile che ancora oggi e ovunque nel mondo il sesso resti il principale strumento di controllo delle donne: una responsabilità che è sociale, che ci coinvolge tutti e tutte e che non possiamo delegare, come molti ancora fanno, alla scienza.
Come racconta in Una stanza tutta per sé, una mattina dell’autunno del 1928 Virginia Woolf si recò alla British Library per preparare alcune lezioni su creatività e indipendenza economica delle donne. Una scorsa al catalogo le bastò per rendersi conto che ogni anno veniva pubblicato a firma di uomini un numero impressionante di libri sul “sesso – e cioè le donne”. In dialogo con le ragazze del Newnhan e del Girton College per le quali stava preparando lezioni divenute memorabili, esclamò: “Vi rendete conto di essere, forse, l’animale più discusso dell’universo?”. Woolf si accorse subito che a scrivere del tema non erano tanto biologi e medici, quanto gli autori più disparati, spesso senza alcuna qualificazione. Scelta una dozzina di quei volumi “in maniera assolutamente arbitraria”, ne cercò di analoghi di donne su uomini. Non ne trovò e il lavoro proseguì spedito.
Quel vuoto è un sollievo anche per le storiche che, come me, coltivano un certo orgoglio di categoria. Restando in ambiti di privilegio, sono diverse le umiliazioni che ci sono state inflitte, per esempio una secolare esclusione dalle università. Ma nonostante la nostra ignoranza, ci è risparmiato almeno l’imbarazzo di doverci occupare di autrici di libri su uomini e sesso analoghi a quelli incrociati da Woolf. Bertrand Russell seppe ammettere con ironia il problema quando osservò che “Aristotele maintained that women have fewer teeth than men; although he was twice married, it never occurred to him to verify this statement by examining his wives’ mouths” (The Impact of Science on Society, 1952). Vero o meno che fosse il dettaglio dei denti, Aristotele, come molti altri filosofi naturali e scienziati, resta utile per indagare i pregiudizi in cui gli uomini più intelligenti e colti possono cadere quando si tratta di donne.
Sebbene la tentazione sia forte, le considerazioni rapide fatte fin qui non vogliono portare a conclusioni del tipo: quando uomini come quelli a capo dei movimenti pro-life parlano di aborto, conviene sorridere e occuparsi d’altro. L’aborto è una questione che, ancorché flaianamente seria, è drammatica. Penso tuttavia che sia salutare considerare con distacco chi (per ragioni che lascio alla psicoanalisi), oggi come nell’Ottocento, sente il bisogno di scrivere di aborto sostituendo dati verificati e approcci pragmatici a un problema sociale, con invettive moraleggianti contro le donne: antico strumento di battaglia ideologica (non politica) che dire scomposta è poco. Ho l’impressione che nei confronti di quelle prese di posizione convenga mantenere bassi i toni per evitare fenomeni cosiddetti di backslash, cioè un inasprirsi di atteggiamenti negativi nei confronti delle donne. In ambito accademico è per esempio probabile che certe derive costruzioniste degli anni Settanta e Ottanta, coltivate da élite prive di contatti con il mondo sociale reale, non abbiano giovato alle battaglie delle donne per la parità, ma semmai alimentato confusione tra i/le giovani (la vaghezza di certe argomentazioni può solo diventare gergo da ipse dixit) e insoddisfazione in chi è esclusa/o dai privilegi di cui godono quelle élite.
Il mio invito a mantenere bassi i toni non significa subire in silenzio. Tutt’altro. Bisogna parlare e molto di questi temi, soprattutto in ambito educativo, dal nido all’università. Per esempio, gli/le adolescenti dovrebbero conoscere i vantaggi sociali concreti che porta un’educazione alla piena parità di diritti e di doveri (già, ci sono anche quelli), per non dire dell’educazione sessuale che, come mostrano i dati del Guttmacher Institute, è cruciale perché cali il ricorso all’aborto. Un’educazione che in Italia è trascurata o osteggiata (per ragioni che pure lascio alla psicoanalisi). D’altra parte, l’ignoranza è la realtà con la quale il Paese si confronta (su questo punto, è noto, c’è solo l’imbarazzo della scelta, tra i dati Pisa, i bassi investimenti in educazione terziaria, il posizionamento problematico delle università nelle diverse classifiche internazionali e così via). E le ripercussioni sociali sono pesanti, si tratti di corruzione, di diritti dei carcerati o delle donne: nella classifica che misura i diritti di queste ultime, l’Italia è passata dal 72° posto nel 2006 all’82° su 144 Paesi nel 2017.
La storia delle donne è ricca di esempi che mostrano che posizioni o diritti conquistati restano comunque precari. In ambito scientifico, nel 1984 fu Margaret Rossiter, dati quantitativi alla mano, a parlare di backslash nei confronti delle scienziate americane dopo la Prima guerra mondiale. Oppure, si pensi al caso più clamoroso, quello della computer science, il sapere che ormai regge le società e le economie mondiali. Nella Silicon Valley le donne sono sottorappresentate, benché siano state pioniere nel mondo dell’informatica, nella ricerca come nell’imprenditoria. La storia non è progressiva e sui diritti bisogna vigilare.
L’aborto va prevenuto con l’educazione, impedirlo porta le povere a ricorrervi in clandestinità, le abbienti a ottenerlo in un Paese confinante. Ogni decisione che riguardi la vita e la morte dovrebbe a mio parere essere possibile in un contesto normativo il più possibile flessibile che tutela le libertà. Su morte e vita non abbiamo dati e/o argomentazioni sufficienti per stabilire con certezza quei confini che alcune/i pretendono per demandare la scelta: chi alla scienza, chi alla religione, chi alla giurisprudenza. In dialogo con quelle culture, la scelta su vita e morte può solo essere nostra, libera, responsabile e valutata caso per caso. Rimettere in discussione la legge che consente l’Ivg è pericoloso per la libertà di tutte/i. Come la scienza, anche la storia ci offre dati utili su cui meditare: ogni volta che si è preteso di limitare le libertà di qualcuna/o, fossero avversari politici, scientifici o religiosi, donne, ebrei o sinti, prima o poi sono state limitate anche le libertà di chi aveva iniziato a gridare.
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