Grillo da Vespa, Renzi da Barbara D’Urso. Le prossime elezioni europee saranno la tomba politica di Silvio Berlusconi – già uscito sconfitto dalle urne, ma giammai tradito dalla sua base culturale, dai consumatori del suo prodotto telepolitico: persone educate per vent’anni allo spettacolo, che oggi guardano altrove, verso nuovi prestigiatori. I rottamatori che un anno fa si intestarono la novità, e grazie alla cui azione politica il Paese più vecchio d’Europa vanta il Parlamento più giovane (e forse più inesperto), si contendono "porta a porta", casa per casa, l’elettorato che fu di Silvio. È lì, che si vincono le elezioni: è con il voto della famigerata casalinga di Voghera che si va a Bruxelles. Difficile che il calcolo si riveli errato: è raro che si sbagli in due. Due leader della parola, forti di milioni di giovani likes, hanno scelto di affrontarsi senza esclusione di colpi nell’arena-format berlusconiana, un habitat giornalistico che è il vero lascito politico ed elettorale del ventennio; un’eredità da cui non puoi prescindere, se vuoi vincere delle elezioni in questo paese: è quello, il luogo del consenso popolare, altroché "siete morti".
Renzi sa, da sempre, che il pubblico di Canale 5 è la chiave della vittoria. Grillo sa, da sempre, che quella di internet è una favola – secondo l’ultimo Rapporto sulla comunicazione del Censis, il totale degli italiani esclusi dall’accesso a internet nel 2012 è stato del 44,5%. Un anno fa, prima delle politiche, il comico genovese aveva gestito la propria campagna televisiva facendosi inseguire dalle telecamere: una tattica che se da un lato garantiva lo stesso risultato di una presenza attiva nei talk-show, dall’altro salvaguardava l’immagine di alterità del Movimento. Con buona pace dei giovani sempre meno giovani dei V-Days e dei meet-up, la scelta di andare da Vespa distrugge definitivamente il mito fondativo del M5S (era ora), ma soprattutto rende chiaro a tutti gli avversari politici che Grillo e Casaleggio almeno su un punto non hanno mai mentito: vogliono davvero governare questo Paese – al momento, è vero, il compromesso politico, ovvero la democrazia parlamentare, non è prevista, ma le regole non scritte del tanto vituperato sistema mediatico italiano sono invece già state accettate. Da questo punto di vista, poco importa che si cominci dalle europee, poco importa se i deputati pentastellati che andranno in Europa la Merkel non la vedranno mai – i capi di Stato e di governo siedono nel Consiglio, non in Parlamento: come faranno a canticchiarle la filastrocca in tedesco? Il dato politico è che l’operazione pigliatutto è cominciata: per vincere servono le persone a cui né Bersani né Grillo si sono mai posti il problema di parlare.
Mettetevi nei panni di chi ha come primo ricordo politico la bandiera di Forza Italia, sventolante a pochi mesi dalla delusione dei mondiali di calcio negli Stati Uniti – per chi è nato mentre cadeva il muro, "Italia Novanta" non è mai esistita. Mettetevi nei panni di chi, nella sua prima primavera liceale, ha visto Berlusconi firmare negli studi di Porta a Porta il "contratto con gli italiani". Mettetevi nei panni di chi, fisicamente presente al primo V-Day a Bologna – quello del "dicono che vogliamo fare un partito!", e giù tutta Piazza Maggiore a ridere – vede Giuseppe Piero Grillo resuscitare il giornalismo di Bruno Vespa, nel 2014. "Ed è tutto intorno a te", ammoniva un riuscitissimo – perché orwelliano – spot della Vodafone. Il berlusconismo è esattamente così, incosciente e onnipresente, indipendentemente dal mezzo che momentaneamente lo traduce, dall’attore che se ne fa interprete: è nei tweets di Andrea Scanzi, nelle dichiarazioni dell’onorevole Di Battista, nel neotalk di Giulia Innocenzi, nato per sostituire Barbara e Bruno, ma creato e partecipato da chi, volente o nolente, ha visto troppa Alda D’Eusanio dopo pranzo.
Si cresce, si cambia, si cambia opinione, ma tutt’intorno è l’Italia: berlusconiani siamo nati, berlusconiani continueremo a vivere le nostri passioni pubbliche.
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