È una buona notizia, ma non vi è di che rallegrarsi. L´Inail, l´Istituto nazionale per l´assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ha pubblicato il suo rapporto annuale per il 2011, con una sezione dedicata agli incidenti sul lavoro. Lo scorso anno si sono ridotti, rispetto al 2010, del 6,6% e il numero di morti è calato del 5,4%. Bisogna esserne contenti, ma non ci si può accontentare né essere soddisfatti. Sotto le percentuali ci sono i valori assoluti e dietro questi le persone. Anche il loro numero si è ridotto, rispetto all´anno precedente, resta il fatto che, nel 2011, 725.000 persone (operai, impiegati, artigiani, commercianti) si sono fatte male, in maniera più o meno grave, mentre svolgevano il loro lavoro. Per dare un´idea della dimensione del fenomeno, è come se, lo scorso anno, tutti gli abitanti di Bologna e quelli di Bari fossero caduti da un´impalcatura, avessero messo una mano sotto una pressa ecc.
Gli incidenti mortali sono stati 920 (circa 50 in meno rispetto al 2010): come se, dalla geografia italiana, fossero stati cancellati due comuni con il numero di abitanti di Portofino.
Le statistiche prodotte dall´Inail offrono molti dettagli sul fenomeno e sulla sua evoluzione e si prestano a svariate considerazioni.
Ma anche le buone statistiche, come quelle che registrano un aumento degli indicatori del benessere o che riportano una riduzione di numeri e percentuali relativi alle condizioni di sofferenza, privazioni e dolore, significano poco sia per le persone che dal miglioramento del benessere continuano a essere escluse, sia per quelle che sono censite dalle rilevazioni sulle morti per inedia, sulle malattie, sugli incidenti sul lavoro e su ogni altra condizione negativa che le persone - involontariamente - devono sopportare.
È, questo, un risvolto delle statistiche bene illustrato da Charles Dickens in Tempi difficili, uno dei suoi romanzi di denuncia delle condizioni sociali a metà del diciannovesimo secolo. La giovane Sissy Jupe, sottratta alla vita circense, si mostra perplessa sulle interpretazioni della realtà a cui vuole instradarla il suo insegnante, affezionato solo a «fatti e calcoli». Per pronunciarsi sulla prosperità o sulla povertà di una nazione ella voleva sapere, prima, come la ricchezza fosse distribuita. E, al maestro, che le chiedeva se, in «un dato momento, centomila persone sono in mare per un lungo viaggio e gli annegati e i bruciati sono solo cinquecento. Qual è la percentuale?», lei rispondeva che non c´era percentuale, perché la percentuale «non significa nulla per i parenti e gli amici dei morti».
Anche le buone statistiche forniteci dall´Inal non attenuano il dolore degli amici e dei parenti di quegli uomini e donne che, usciti di casa una mattina per andare a lavorare, la sera non vi hanno fatto ritorno perché le loro vite sono risultate, alla fin fine, meno preziose delle economie sulle spese da sostenere per svolgere il lavoro in sicurezza. Dobbiamo, non di meno, augurarci che quelle statistiche migliorino sempre e più velocemente, poiché ogni numero in meno nei loro totali è una tragedia in meno.
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