Anita Raja è una signora benestante che abita a Roma, in una grande casa di un quartiere elegante, è sposata con uno scrittore e traduce testi dal tedesco per una casa editrice. Elena Ferrante è una scrittrice di successo, che è nata a Napoli (come si legge sulla quarta di copertina dei suoi libri); di lei, altro non sappiamo. Domenica scorsa, Claudio Gatti ha rivelato che Anita ed Elena sono in realtà la stessa persona.
I paladini della privacy sono saliti immediatamente sulla barricate a difesa dei diritti di Anita Raja e di chi si cela dietro il nom de plume Elena Ferrante. Ma è così? Forse no.
Certo, se Gatti si fosse appostato sotto casa, nel tentativo di fornire un volto alla scrittrice, avrebbe sicuramente violato alcuni diritti. Per esempio, avrebbe violato il diritto alla privacy inteso come the right to be let alone (nella classica formulazione di S. Warren e L. Brandeis), privando la signora Raja della tranquillità emotiva necessaria non solo per scrivere un romanzo, ma anche per condurre un’esistenza normale. D’altro canto, anche gli attori – che fanno del proprio corpo uno strumento di lavoro – hanno bisogno di momenti di solitudine, per essere se stessi e non solo quello che i fan vedono sullo schermo. Figuriamoci una scrittrice, molto riservata, che utilizza solo la prosa per svolgere il proprio lavoro. E se Gatti fosse entrato nel suo computer per conoscere in anteprima il nuovo romanzo di Elena Ferrante, oltre alla privacy, avrebbe violato anche i diritti d’autore della signora Raja.
Ma Claudio Gatti non si è appostato sotto casa di Anita Raja, e non ha cercato di violare il suo computer. Ha semplicemente fatto un’indagine sui dati societari della casa editrice (Edizioni e/o) che pubblica i romanzi di Elena Ferrante. Notando un sensibile incremento dei ricavi della e/o grazie al successo dei libri di Elena Ferrante e della contestuale aumento della situazione patrimoniale di Anita Raja – nominalmente, una semplice traduttrice –, Gatti ha desunto l’identità tra le due persone. Questa non sembra una violazione della privacy, ma un semplice caso di ragionamento e acume giornalistico: dati societari e identificativi catastali, infatti, sono informazioni di natura pubblica, che si possono ottenere con una semplice richiesta. Resta da capire, invece, il perché interessi a qualcuno sapere chi è davvero Elena Ferrante.
Michele Serra, per esempio, si rammarica di «non poter fare più congetture poetiche sulla “vera identità”» della scrittrice. Ed Erri De Luca si indigna perché «questa sorta di indagini patrimoniali farebbero bene a svolgerle per stanare gli evasori invece degli autori». Al rammarico di Serra e all’indignazione di De Luca, si parva licet, vorrei aggiungere alcune brevi considerazioni.
Sapere che Elena è Anita, cambia qualcosa? Se si scoprisse che la signora Raja è noiosa e antipatica – o addirittura di peggio –, o che è molto ricca, o che occupa il proprio tempo libero in maniera discutibile o facendo del volontariato, muterebbe la qualità dei suoi romanzi? No, anche se forse muterebbe la percezione per alcuni. Ma là dove la curiosità ci spinge, le buone maniere – così che ciascuno curi i propri affari e non quelli degli altri – dovrebbero aiutare a fermarci, prima ancora del diritto alla privacy.
Qualcuno potrebbe pensare che c’è un interesse a conoscere i dettagli della vita privata di alcune persone quando la loro attività ha un dimensione pubblica importante. Ma una scrittrice è un personaggio pubblico? Ammesso (ma non concesso) che lo sia, in considerazione del fatto che una parte importante del suo lavoro è pubblica per definizione, difficilmente si può affermare di avere il diritto di sapere più di quanto la scrittrice voglia far sapere di sé, se non altro perché quel tipo di informazioni non ci aiuterebbe in alcun modo ad apprezzare i suoi lavori.
Il problema, forse, è che sta diventando veramente difficile rimanere anonimi nella società contemporanea. Fino a una decina di anni fa, una ricerca come quella di Gatti avrebbe richiesto tempo e fatica: un accesso giustificato agli atti presso la Camera di commercio, una lunga attesa al Catasto Fabbricati, un viaggio tra gli scaffali della Conservatoria dei Registri Immobiliari… Difficile, anche se non impossibile. Oggi è decisamente più semplice: si può fare tutto comodamente da casa o dal proprio ufficio, con una connessione internet. Ma non è lo sviluppo tecnologico a minare la privacy delle persone. Semmai, è il (cattivo) utilizzo della tecnologia a creare problemi. E la curiosità – atteggiamento poco nobile, ma molto diffuso – di chi se ne serve, non fa altro che acuire i problemi.
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