Il Kosovo e la normalità impossibile. Il primo turno delle elezioni amministrative del Kosovo ha avuto luogo in un momento delicato per il processo di consolidamento delle istituzioni statali e per la normalizzazione dei rapporti con la Serbia. In attesa dei ballottaggi che si terranno il prossimo primo dicembre, può essere utile analizzare la prima parte dell’odissea elettorale e i suoi risvolti internazionali. Innanzi tutto, queste elezioni costituiscono un evento storico: per la prima volta, infatti, esse hanno riguardato l’intero territorio formalmente sotto controllo del governo di Pristina, compreso il Kosovo del Nord, formato da 3 delle 38 municipalità totali - Zvečan/Zveçan, Leposavić/Leposaviq e Zubin Potok – e dalla parte di Mitrovicë/Kosovska Mitrovica che si trova a nord del fiume Ibar. Questa è l’area in cui si trova la maggiore concentrazione di serbi del Kosovo e che fino a pochi mesi fa era direttamente controllata da forze leali a Belgrado, che rifiutavano di avere a che fare con le istituzioni di Pristina. Tuttavia, dallo scorso 19 aprile, con la firma dello storico accordo di Bruxelles raggiunto attraverso la mediazione dell’Unione Europea rappresentata da Catherine Ashton da parte del primo ministro serbo Ivica Dačić e del primo ministro kosovaro Hashim Thaçi, la situazione è cambiata. Serbia e Kosovo si sono ufficialmente impegnati a perseguire una normalizzazione dei rapporti, un sentiero insidioso ma che porterebbe notevoli benefici per le aspirazioni europee di entrambi i governi. Infatti, mentre con questo compromesso la Serbia vede notevolmente aumentate le sue possibilità di abbreviare i tempi dei negoziati per l’ingresso nell’Ue che dovrebbero iniziare a gennaio 2014, il Kosovo ha ottenuto a fine giugno il parere positivo del Consiglio Europeo per l’apertura delle trattative per un accordo di stabilizzazione e associazione, prerequisito necessario per intraprendere un processo di integrazione nell’Unione. Le questioni aperte tra Belgrado e Pristina restano tante, ma sicuramente il compromesso di Bruxelles pone le basi per una discussione più serena su alcuni aspetti, tra cui il rispetto delle minoranze e le modalità dell’autodeterminazione delle comunità minoritarie nei due Paesi. Il primo passo dell’accordo prevedeva la partecipazione delle municipalità del Nord alle elezioni kosovare: lo scorso 11 settembre, quindi, da Belgrado è giunto l’ordine di sciogliere i consigli comunali della zona che si rifiutavano di partecipare alle elezioni e ne promuovevano il boicottaggio. Il governo serbo ha dovuto dare prova delle proprie doti di equilibrismo tra rivendicazioni di sovranità sul territorio dell’ex provincia, sostegno ai cittadini serbi del Kosovo e rispetto degli impegni internazionali, sotto gli occhi attenti delle organizzazioni coinvolte nelle operazioni di sicurezza e monitoraggio per le elezioni (Ue, Osce e Nato). L’acme della tensione è stato raggiunto la mattina del 19 settembre scorso, quando in un agguato teso a due convogli della missione EULEX sulla strada tra Mitrovica e Raška è rimasto ucciso un agente che prestava servizio come guardia di confine, il lituano Audrius Senavicius. L’episodio, su cui ancora non è stata fatta luce, è stato condannato dalle autorità serbe e kosovare e anche dai serbi del nord del Kosovo. Il 27 settembre l’EULEX in una conferenza stampa ha annunciato la ferma volontà di trovare i responsabili dell’agguato, offrendo una lauta ricompensa a chiunque potesse offrire informazioni utili per le indagini. Nonostante ciò, nel Kosovo del Nord si è arrivati alla vigilia delle elezioni in un clima piuttosto teso: candidati e elettori serbi e kosovari sono stati oggetto di violenze e intimidazioni, più volte denunciate dagli osservatori delle missioni Osce e Ue. Mentre nel resto del Paese il 3 novembre non si sono registrati disordini – grazie anche allo spiegamento di forze di polizia garantito dalla polizia kosovara coadiuvata da EULEX e KFOR –, nelle quattro municipalità a nord di Mitrovicë pare che la partecipazione elettorale, prevedibilmente bassa, sia stata scoraggiata anche da estremisti dotati di telecamere e macchine fotografiche che cercavano di intimidire chi si recava alle urne. In serata si sono registrati incidenti e un gruppo di estremisti ha fatto irruzione nel seggio della scuola elementare “Sveti Sava” di Mitrovica Nord, costringendo gli osservatori Osce a sospendere le votazioni. Per questo motivo, la Commissione Elettorale Centrale ha disposto la ripetizione delle operazioni di voto in tre seggi del Nord, che si è svolta senza incidenti ma in un’atmosfera tutt’altro che rilassata domenica 17 novembre. Anche sulla responsabilità dei fatti del 3 novembre si è subito aperto un acceso dibattito, che ha visto in particolare il governo di Belgrado e gli «estremisti serbi» lanciarsi accuse reciproche. In attesa che le indagini facciano progressi e che la Commissione Elettorale fornisca i dati ufficiali prima del secondo turno, ciò che fa riflettere è il dato dell’affluenza nella giornata di ieri, intorno al 22%, decisamente inferiore a quella registrata nel resto del Kosovo il 3 novembre, che si aggira intorno al 47%. Ciò dimostra che la grande maggioranza dei serbi di questa regione non accettano il compromesso, e continuano a costituire un focolaio separatista nel cuore di una regione che sembra destinata all’instabilità.