Le primarie americane del 2016 si stanno rivelando una preziosa opportunità per analizzare modelli di leadership molto diversi. In campo democratico, Hillary Clinton si trova ad affrontare un avversario, Bernie Sanders, che le sta portando una sfida sul piano dell’ispirazione. Qualcosa di simile era già accaduto nel 2008, quando Barack Obama, partito con chance ridotte, crebbe nei consensi sulla scorta di un entusiasmo popolare suscitato dalla promessa di un nuovo sogno americano, ben sintetizzato nel celebre slogan dello “yes we can”. Oggi Sanders sembra avere minori possibilità di strappare a Clinton la nomination, ma il suo discorso, da più parti definito “idealistico”, mette in evidenza alcuni limiti del profilo di leadership della sua avversaria. Che Clinton sia una leader non è in discussione: come già era accaduto nel 2008, le vengono riconosciute le competenze e l’esperienza necessarie. Un’ampia maggioranza degli elettori democratici è convinta che sarebbe un buon presidente.

Eppure l’anziano senatore del Vermont Sanders raccoglie intorno a sé folle di entusiasti, molti dei quali giovani, un gruppo sul quale Clinton non riesce a far presa. Una dote di Sanders sembra essere la capacità di stabilire una connessione emotiva: infatti, i suoi sostenitori dicono di preferirlo perché è uno che si prende cura delle persone e capisce i loro bisogni.

Il principale problema di Clinton va oltre il suo stile più pragmatico che carismatico. Piuttosto è quello di essere associata a una politica che non piace più. Solo il 27% degli Americani si dice soddisfatto di come vanno le cose in America e l’84% disapprova l’operato del Congresso

Clinton appartiene all’élite delle grandi famiglie politiche americane. Ha partecipato all’amministrazione Obama, del quale gli americani hanno ancora tutto sommato un’opinione discreta (il 51% esprime approvazione per il suo lavoro), ma la cui popolarità è probabilmente ancora oggi legata al suo fascino personale. Una risorsa, quindi, non trasmissibile in eredità a Clinton. Sanders, dall’altra parte, pur essendo un politico di lungo corso, ha poco a che spartire con un establishment rispetto al quale è sempre stato autonomo. Ha idee chiaramente progressiste e le esprime in modo ideologico, il che è inconsueto per il panorama politico americano.

Parla di diseguaglianze e di socialismo; propone un’identificazione collettiva con una visione politica più che con la sua persona. Un elemento questo che lo differenzia in modo netto dal precedente di Obama, il quale nella campagna 2008 ebbe seguaci simili a veri e propri fans, ovvero elettori conquistati dalla sua giovinezza, dalla sua energia, dal suo essere un simbolo vivente di progresso in quanto primo candidato afroamericano ad avere la concreta possibilità di arrivare alla presidenza. Sanders è, invece, più rivoluzionario nei contenuti che nel suo profilo personale.

Se lo stile di Sanders è quello di un leader che vuole coinvolgere in un’impresa collettiva, chi invece non esita a percorrere la strada del personalismo estremo è Donald Trump. Anche per quest’ultimo l’estraneità al Partito repubblicano è il principale punto di forza. Infatti, le prime due ragioni che i suoi sostenitori richiamano per giustificare la loro scelta sono il fatto che non è un politico e che è un capace uomo d’affari.

Trump si presenta, inoltre, come leader decisionista e non esita a dare scandalo con un linguaggio aggressivo e di rottura. Quest’ultimo tratto non può che suscitare avversione e disapprovazione in gran parte dei cittadini americani (infatti, Trump risulta attualmente il meno popolare tra i candidati); tuttavia, è apprezzato dai suoi sostenitori che lo interpretano probabilmente come un segno di autenticità e di forza di carattere. In sintesi, Trump conquista elettori per le sue caratteristiche personali più che per il suo programma. E convince elettori preoccupati per il loro futuro di essere lui il presidente che aggiusterà le cose.

Insomma, pur essendo  Sanders  e Trump due candidati diversissimi e assai distanti, l’ascesa di entrambi segnala che ampie parti dell’elettorato americano sono in cerca di risposte e non si accontentano più di quelle che vengono dai partiti tradizionali e dai candidati che li rappresentano nel modo più prevedibile. Può aiutare a comprendere questo clima d’opinione una ricerca del Pew Research Center che rivela che la maggioranza degli cittadini  ritiene che, per un presidente, l’avere nuove idee e un approccio differente sia una qualità più desiderabile dell’esperienza. Ciò vale soprattutto per i repubblicani (65%), ma l’elemento della novità risulta la prima scelta anche per il 42% dei democratici. Di queste aspettative chiunque vinca le elezioni dovrà tener conto, poiché al futuro presidente si chiede evidentemente di  trovare un equilibrio tra ideali e capacità.