Un "usato sicuro", ma deciso, alla presidenza. Miloš Zeman (classe 1944) è il nuovo presidente della Repubblica Ceca, eletto al secondo turno il 25 e 26 gennaio scorsi con il 54,8% dei voti. Si tratta della prima elezione diretta del capo dello Stato dopo la riforma voluta dal primo ministro Petr Nečas, nel 2010, e votata dal Parlamento in modo definitivo nel febbraio del 2012.
Dei nove aspiranti a ricoprire la carica di capo dello Stato (l’ex presidente Václav Klaus non ha potuto ricandidarsi per raggiunto limite di mandati), due indipendenti avevano suscitato particolare interesse nell’opinione pubblica internazionale alla vigilia del voto: Vladimír Franz e Jan Fischer. Il primo, professore di Arte drammatica all’Accademia di Praga, a causa dell’aspetto assolutamente inedito per un politico, almeno qui in Occidente: il suo corpo è infatti interamente ricoperto di tatuaggi. Il secondo perché, in caso di vittoria, sarebbe stato il primo presidente ebreo direttamente eletto dal popolo in Europa. Né Franz, né Fischer hanno superato l’ostacolo del primo turno, svoltosi l’11 e 12 gennaio, pur avendo ottenuto un buon successo. Fischer è risultato terzo, con 841.437 voti, corrispondenti al 16,35% delle preferenze, mentre Franz è giunto quinto, con 351.916 voti (6,84%). Tra loro, Jiří Dienstbier, del Partito socialdemocratico, con il 16,12%.
Al secondo turno si sono scontrati, invece, due politici che in passato hanno ricoperto importanti cariche: Miloš Zeman, primo ministro dal 1998 al 2002, già socialdemocratico e ora leader del Partito dei diritti civili-Zemaniani (Strana Práv Občanů-Zemanovci) che l’11 gennaio ha raccolto 1.245.848 voti (24,21%), e un principe, Karel Schwarzenberg, attuale ministro degli Esteri, posizione già occupata dal 2007 al 2009, con alle spalle una rilevante attività di sostegno al dissenso anticomunista durante gli anni della Guerra fredda e oggi leader del partito Top-09 (Tradice Odpovědnost Prosperita 09, ossia “Tradizione Responsabilità Prosperità 09”), secondo con 1.204.195 voti (23,4%). L’elettorato ceco ha dunque puntato su due candidati “sicuri” e conosciuti: due settantenni che hanno già segnato la vita politica della Cechia post-comunista. Sia Zeman sia Schwarzenberg, inoltre, dopo un impegno politico all’interno di partiti tradizionali, hanno fondato, o contribuito a far nascere, formazioni che si richiamano, attraverso gli slogan, la terminologia e il nome, a sentimenti non ideologici e populisti, come i diritti civili o la prosperità.
Se, com’era prevedibile, il secondo turno è stato vinto da Zeman, Schwarzenberg si è aggiudicato le due maggiori città del Paese, Praga (66,01%) e Brno (53,9%), oltre a Plzeň (54,15%), České Budějovice (52,45%) e il voto dei cechi all’estero, con l’84,21%. Zeman ha conquistato tutti gli altri collegi, fuori dai grandi centri urbani. È lecito chiedersi quale Cechia sarà sotto la sua presidenza.
Il nuovo capo dello Stato, che salirà a marzo al Castello, si è sempre schierato per un’attiva e fattiva partecipazione dell’elettorato alla vita politica. È stato quindi favorevole all’elezione diretta del presidente e vorrebbe proseguire su questa strada, introducendo, per esempio, il referendum secondo il modello svizzero. Da un punto di vista sociale si è dichiarato ammiratore del sistema socialdemocratico svedese, ma le sue idee presentano tratti di liberalismo puro. È favorevole a una bassa tassazione all’interno di un sistema fiscale progressivo che non superi il 25%, contrario all’adozione per le coppie omosessuali e sfavorevole alle quote rosa in politica. Pur essendo stato emarginato durante il periodo comunista, non è, al contrario di Schwarzenberg, un anticomunista dichiarato e l’unico partito che ritiene davvero antidemocratico è il Partito operaio della giustizia sociale (Dělnická strana sociální spravedlnosti), che giudica una formazione fascista. In politica estera ha sposato la causa di Israele, che vorrebbe vedere nella Nato. In passato ha paragonato Arafat a Hitler e nel 2011 ha dichiarato che “un musulmano moderato è come un nazista moderato”. Favorevole al mercato globale, non ritiene Russia e Cina partner ideali perché non rispetterebbero i diritti umani.
Non mancano le contraddizioni. Zeman, pur avendo appoggiato l’intervento armato contro la Serbia nel 1999, ha definito il Kosovo, che da quel conflitto compì i primi passi verso la piena sovranità, una “dittatura terroristica finanziata dai narcotrafficanti”. Infine, è un europeista convinto: appoggia l’idea di un’Europa federale, con politica estera e di difesa unitarie. Ci attende dunque, verosimilmente, un Paese attivo in politica estera, in prima linea nella “lotta al terrorismo internazionale”, ma sostanzialmente conservatore e difficilmente in grado di aprire una nuova fase storica nelle sue politiche economiche e sociali.
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