Un voto folle, quello di domenica, secondo alcuni. Imprevedibile e dettato, appunto, da una sorta di follia elettorale. E se nella follia degli elettori ci fosse una logica? Non sarebbe più follia. A me pare che una delle spiegazioni di questo voto sia proprio nei termini di una filosofia politica implicita che chi vota ha nella testa e che segue abbastanza prevedibilmente. Provo a elencare alcuni dei dettami di questa “filosofia”.
Principio supremo e cardine: l’onestà. I politici debbono essere – o mostrare di essere – immacolati. Soprattutto, non è accettato dagli elettori l’atteggiamento di sufficienza di fronte alle accuse – la distinzione fra piano giudiziario e piano politico, per esempio. La critica morale degli eletti viene vista, da questi elettori, come una ragione legittima per orientare i propri comportamenti di voto – mi pare una conclusione ovvia, almeno nel caso del voto di Roma. Alle accuse morali si risponde nel merito – poi magari si farfuglia, si mente, si danno spiegazioni posticce… Ma si risponde: non basta il rispetto dei giudici e delle sentenze. La questione, appunto, non è mai (solo) giudiziaria – è sempre politica, perché morale.
Quindi, chi vuole competere su questo mercato elettorale dovrebbe rassegnarsi al fatto che questo tipo di valutazioni – sul comportamento personale, sulla sobrietà, sugli atteggiamenti – sono ritenute legittime e accettabili dagli italiani. E, peraltro, non dovrebbe essere difficile rassegnarsi a questo per chi, come molti esponenti del Partito democratico, ha campato a lungo su critiche di questo genere – critiche alla persona, all’ineleganza, agli atteggiamenti – mosse al capo del centrodestra italiano dal 1994 in poi. Dimenticarsene, dimenticarsi di questo patrimonio di irritazione malmostosa, è un po’ improvvido.
Si può obiettare che questo principio dell’onestà non spiegherebbe Torino – sul passato sindaco molto si può dire, forse, ma non si può certo negarne l’onestà e una certa sobrietà. Un secondo principio di questa filosofia politica dell’elettore 5 Stelle può spiegare il caso Torino, e dissipare l’obiezione. Potremmo chiamarlo principio della giovinezza, o del nuovismo: il politico dev’essere nuovo, giovane, non tanto o solo anagraficamente, ma in termini di carriera e permanenza al potere. Si può molto criticare a quest’allergia per la professionalità politica, e si può rilevarne la contraddizione in chi spesso invoca la competenza, la capacità di amministrare, e così via. Ma è innegabilmente una delle molle che premia il personale politico del Movimento 5 Stelle.
Ma soprattutto non è irrelato al principio dell’onestà. Il ragionamento – anche questo criticabile, ovviamente, e chissà quanto empiricamente fondato – è che la permanenza al potere corrompa, sporchi, crei inevitabilmente cadute morali, e che l’alternanza, anche vorticosa, serva a garantire l’onestà del personale politico. Ci sono tante argomentazioni in filosofia politica a favore del principio di alternanza. Questa non è forse la migliore, ma mi pare quella di più successo.
Anche in questo caso, però, chi viene dalla sinistra non dovrebbe mostrarsi sorpreso. Come alcuni ricorderanno, il 28 luglio del 1981 Berlinguer diede una famosa intervista a Eugenio Scalfari, tutta concentrata su quella che l’allora segretario del Pci chiamava la questione morale. In quelle pagine si dicono molte cose, tutte riprese e analizzate a iosa nei quarant’anni che ce ne separano. Ma a un certo punto, dopo molte accuse di Berlinguer all’occupazione dello Stato da parte dei partiti, Scalfari, un po’ seccamente, chiede: “Le cause politiche che hanno provocato questo sfascio morale: me ne dica una”, e Berlinguer risponde: “Le dico quella che, secondo me, è la causa prima e decisiva: la discriminazione contro di noi”. Scalfari non crede alle sue orecchie, e sbotta: “Non le sembra eccessivo, signor segretario? Tutto nasce dal fatto che voi non siete stati ammessi nel governo del Paese?”. Berlinguer risponde con un ragionamento secondo cui l’alternanza bloccata – il fatto che sempre gli stessi siano stati al governo – è causa prima della corruzione. Non vi sembra di sentire discorsi di oggi, discorsi all’insegna del vogliamo cambiare, e non avere sempre gli stessi? E chi credete legga ancora questo testo, oggi? Scommetterei sulla sua diffusione fra l’elettorato a 5 Stelle. Il che rappresenterebbe una dimostrazione del carattere ancipite della questione morale – se sono vere le analisi dei flussi secondo cui molti dei voti ai 5 Stelle vengono dalla destra. Come che sia, questo è sufficiente a mostrare il collegamento fra onestà e novità, almeno nella mente di questi elettori. E questo consente di finire con un fotogramma, quello di Di Battista e Di Maio che, di fronte al feretro di Casaleggio, scandiscono: “Onestà, onestà”.
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