Questo articolo fa parte dello speciale Città medie al voto
Stretta tra l’Appennino a Nord e la piana dei vivai a Sud, Pistoia è rimasta in gran parte esclusa dalle tradizionali rappresentazioni che vengono fatte della Toscana, focalizzatesi prevalentemente sulle altre città d’arte, come Firenze e Pisa. Tuttavia, la «città dei crucci», come la definiva Gabriele D’Annunzio raccontandone gli scontri tra le opposte fazioni cittadine, ha rappresentato per lungo tempo uno dei principali centri della regione, da un punto di vista sia culturale sia industriale.
Accanto al prestigioso patrimonio artistico – sotto gli occhi vigili di San Jacopo svettano nel profilo urbano l’inconfondibile facciata della cattedrale decorata da Della Robbia e la cupola cinquecentesca della basilica della Madonna dell’umiltà, realizzata da Giorgio Vasari – vi è una forte tradizione di attivismo culturale, che ha avuto il suo massimo coronamento nella designazione come capitale italiana della cultura del 2017.
Inoltre, la città ha rappresentato una delle realtà economiche più importanti a livello regionale. Nel corso del Novecento, è stata infatti interessata da una forte crescita, che l’ha resa uno dei centri più dinamici della Toscana. Sede di un importante polo di produzione di materiale ferroviario – la storica Ansaldo Breda – e di un noto distretto florovivaistico di portata nazionale, Pistoia costituisce la terza città dell’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia, territorio abitato da circa il 40% della popolazione regionale e storicamente più ricco rispetto alle altre parti della regione. Tuttavia, da alcuni anni e nonostante i livelli relativamente elevati di benessere, la città si trova imprigionata in una sorta di crisi perpetua, una «sindrome» di progressivo scivolamento verso una maggiore «perifericità», tanto economica quanto politica.
Nonostante i livelli elevati di benessere, la città è imprigionata in una crisi perpetua, una "sindrome" di scivolamento verso una maggiore perifericità economica e politica
Il distretto vivaistico a carattere ornamentale, settore di punta in quella che è nota come la «città delle piante», ha messo radici profonde nel tessuto urbano a partire dall’Ottocento e, avvantaggiandosi del basso costo del lavoro, è cresciuto tanto da costituire uno dei settori di punta dell’economia cittadina con più di 1.200 imprese e quasi 10.000 addetti in tutta la provincia. Si tratta tuttavia di un settore che ha sofferto particolarmente la crisi economica e in cui – in modo più forte che altrove – si è subìto il peso della concorrenza internazionale. Inoltre, nonostante la natura industriale, esso replica in parte una mentalità tipicamente agricola. Il settore si articola infatti in un numero alto di piccole e medie imprese e in poche aziende di grandi dimensioni, che, proprio in ragione della loro struttura, si occupano in via esclusiva della commercializzazione estera. I piccoli e medi produttori svolgono quindi la funzione di terzisti per le poche imprese di grandi dimensioni, alle quali forniscono piante semilavorate al prezzo da esse imposto. L’insieme di questi fattori ha contribuito quindi a rendere precario e soggetto a crisi periodiche questo settore di punta della città.
Un ragionamento analogo può essere fatto poi per la vocazione industriale. In seguito ai processi di modernizzazione e di deindustrializzazione che hanno interessato tutti i Paesi avanzati, l’industria ricopre adesso un ruolo meno rilevante nel contesto economico e occupazionale dell’antica città operaia, tanto che meno del 20% dell’intera forza lavoro provinciale è occupata nel settore manifatturiero.
Simbolo di questa trasformazione è l’evoluzione del principale centro industriale cittadino, la Ansaldo Breda, la storica «fabbrica della città», punta di diamante dell’interno settore industriale locale e storicamente bacino di reclutamento privilegiato tanto per la classe dirigente comunista quanto per quella democristiana. La fabbrica – storicamente parte delle partecipazioni statali – è stata nel corso del Novecento la principale fonte di risorse e di posti di lavoro per la realtà pistoiese e uno tra i più grandi centri della siderurgia italiana. Tuttavia, a partire agli anni Novanta, ha attraversato un periodo di forte crisi e di ristrutturazione del proprio assetto aziendale, conclusosi nel 2015 con l’acquisto da parte della multinazionale giapponese Hitachi Rail. Nonostante l’importanza che l’azienda ancora ricopre dal punto di vista occupazionale, il legame con la città – quel legame che contribuiva a forgiare l’identità di città operaia e a fare della fabbrica una scuola di politica per le classi dirigenti – si è reciso da tempo. In un certo senso, si può dire che la fabbrica si trovi in città, ma non ne faccia più parte, o almeno non come in passato.
Specularmente, i «nuovi» settori economici stentano ad affermarsi. Contrariamente ad altre grandi città toscane e nonostante il ricco patrimonio artistico e culturale, Pistoia si è mantenuta sostanzialmente esterna alle grandi traiettorie del turismo regionale. Nonostante il recente sviluppo, le attività di ristorazione, i locali e a volte gli stessi istituti commerciali del centro sono rivolti prevalentemente ai concittadini – soprattutto giovani – o, in taluni casi, all’attrazione degli abitanti delle città vicine. La dimensione turistica, sebbene sia cresciuta progressivamente, non ha quindi avuto modo di fortificarsi e strutturarsi, rimanendo in qualche modo limitata al contesto locale. Questa fase critica attraversata dalla città ha poi manifestato alcuni effetti anche sulla dimensione più propriamente politica.
Città storicamente di sinistra, Pistoia ha contribuito in maniera decisiva al reclutamento della classe dirigente del Pci prima, e dei Ds e del Pd poi, esprimendone alcune delle più rilevanti personalità politiche a livello regionale e nazionale. Inoltre, la camera di compensazione rappresentata dagli organismi di partito forniva il luogo ideale in cui gli interessi dei diversi territori e delle diverse province trovavano rappresentanza, si confrontavano e si componevano. Adesso, con partiti sempre più deboli, fondati su classi dirigenti impegnate alla ricerca del consenso invece che sulla sua costruzione, questa dimensione è completamente sparita e nel dialogo di area vasta, per non dire regionale. Firenze, con le sue risorse e la sua importanza, ricopre quello spazio quasi monopolizzandolo.
Nel 2017 Pistoia elegge per la prima volta nella sua storia un sindaco di centrodestra, mostrando le difficoltà del centrosinistra di interpretare le ansie della popolazione
Ma, sotto il piano politico, il dato più rilevante è rappresentato sicuramente dalla vittoria del centrodestra alle elezioni comunali. Infatti, in seguito alle elezioni amministrative del 2017, la coalizione di centrosinistra – che amministrava Pistoia fino dal Secondo Dopoguerra – è stata sconfitta dalla coalizione avversaria, portando, per la prima volta, un sindaco di centrodestra alla guida della città. Una sconfitta sintomo di una maggiore difficoltà, per i partiti di sinistra, di interpretare le ansie, le difficoltà e la sensazione di precarietà della popolazione, ma anche della loro incapacità di fornire una via di uscita, un progetto, un’idea di città che vada oltre l’esistente.
In tal senso e allargando la prospettiva dell’analisi, Pistoia rappresenta un caso paradigmatico delle altre città medie «rosse» della Toscana centrale, soggette a questa «sindrome» o «sensazione» di periferia. Sono contesti in cui i processi di modernizzazione, informatizzazione e globalizzazione hanno profondamente trasformato la struttura produttiva tradizionale, indebolendo i settori tradizionali dell’economia locale, senza un corrispondente rafforzamento di quelli emergenti. Realtà in cui la tradizionale classe dirigente, pur cercando di mantenere elevati i livelli di regolazione sociale, si è concentrata sempre più sulla propria dimensione interna o su quella meramente «elettorale», «adagiandosi» sulle città, demandando cioè alle società la risoluzione delle problematiche, senza fornire più una prospettiva.
In questo senso, la presente tornata elettorale rappresenta dunque un’occasione particolarmente importante. Lo è naturalmente secondo un’ottica politica sia per il centrodestra, che dovrà cercare di rinsaldare la propria posizione, sia per il centrosinistra che dovrà provare a riconquistare la perduta roccaforte e a riacquisire margini di agibilità politica. Ma lo è soprattutto, in termini più ampi. Essa costituisce infatti l’occasione per l’elaborazione di un progetto, per la costruzione di un percorso che consenta, a Pistoia ma anche a tante altre realtà toscane, di provare a sfuggire a questa sindrome di perifericità.
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