Questo articolo fa parte dello speciale Città medie al voto
FILIPPO BARBERA Lo scenario dell’Italia di mezzo è difficile da definire: provincia, città medie, aree suburbane e periurbane, molti nomi per un panorama complesso: come fare ordine?
ARTURO LANZANI Quella di “Italia di mezzo” una definizione residuale e nasce come tale dal tentativo di sollecitare politiche integrate che superino dimensioni esclusivamente settoriali o municipali, quasi esclusive in questa parte del Paese.
In questo senso il pregio delle contrapposte rappresentazioni metropolitana e interna si coglie in questa direzione integrata e intercomunale. Sebbene entro diversi gradi di problematicità, la prospettiva “metropolitana” ci permette di descrivere chiaramente alcune parti del Paese che nella percezione collettiva sono sempre più considerate come aree strategiche per lo sviluppo. Dall’altra parte c’è la riflessione sulle terre alte e sulle aree interne che a partire dal Retroterra di Rossi-Doria che coglie chiaramente uno scenario che – per quanto debole e in contrazione– può rivelarsi prezioso per traiettorie di sviluppo altro, almeno culturalmente.
Come tutte le categorie residuali, anche l’Italia di mezzo è fatta di componenti molto diverse che semplificando possiamo ridurre a tre
Tuttavia, una parte consistente - poco meno della metà del territorio italiano e poco più della metà della sua popolazione - resta fuori da entrambe, non riconoscendovisi. E quella è l’Italia di mezzo. Come ogni categoria residuale al suo interno è fatta di componenti molto diverse che semplificando possiamo ridurre a tre.
La prima, più facile da mettere a fuoco, è quella delle città medie, che in che in gran parte corrispondono ai capoluoghi provinciali. Demograficamente composite - da Brescia e i suoi duecento mila abitanti a tagli dimensionali di venti mila, come Sondrio e altre città simili – sono fulcri di territori agro industriali, con una struttura di servizio tradizionale.
La seconda corrisponde a quelle parti di territorio che sono segnate da fenomeni di urbanizzazione consistente, l’Italia che geografi e urbanisti definiscono conurbata, lo scenario della città diffusa: funzionalmente integrata, simile a una costruzione “minerale”, in cui parti di territorio si sono solidificate e hanno conosciuto una metamorfosi.
Dal punto di cartografico, sorvolando l’Italia, vedremmo scenari abbastanza diversi: parte del sistema costiero italiano dalla Liguria alla Calabria attraverso le Marche e gli Abruzzi, una geografia interna fatta di conurbazioni di pedemonte e di fondovalle, con insediamenti storici a mezza costa, alcuni ambiti con originali conurbazioni di pianura slegati dalle città capoluogo quasi sempre in corrispondenza della geografia di alcuni distretti industriali e infine una quarta condizione di estremo margine metropolitano: una nebulosa che la letteratura internazionale chiama “regioni metropolitane”.
In generale cogliamo in questi territori due spinte endogene allo sviluppo: uno legato alla presenza articolata della manifattura nel nostro Paese specialmente di matrice post-distrettuale, una legata alla tendenza di gran parte delle funzioni urbane a polarizzarsi nella seconda metà del novecento lungo le principali strade di collegamento che attraversano territori densamente urbanizzati. A queste due spinte verso l’urbanizzazione nell’ambito costiero si aggiunge ovviamente quella del turismo di massa, mentre nei margini metropolitani cogliamo anche il peso di spinte esogene di decentramento residenziale a più largo raggio dai principali poli metropolitani urbani (cosa evidente soprattutto in alcune porzioni della pianura asciutta padana).
Infine, si può individuare una terza componente: la campagna lavorata e sfruttata, il territorio rurale di pianura e bassa collina, a tratti alter ego dell’immagine idealtipica delle “aree interne”. Se quest’ultima è quella dei presidi slow food, spesso ecologicamente virtuosa, dove è possibile pensare la riattivazione di processi ed esperienze di innovazione, questa è l’Italia dell’agricoltura estensiva, industrializzata, che richiede una profonda transizione ecologica (che si tratti del sistema di allevamento intensivo di pianura padana. O delle colline spianate dai vigneti specializzati).
FB Le città medie che il 12 giugno andranno al voto toccano in maniera più o meno trasversale le morfologie che abbiamo appena tracciato. Negli ultimi decenni le caratteristiche territoriali e produttive sono state sottoposte a tensioni e cambiamenti, distretti in crisi e campagne produttive sottoposte a trasformazioni. Come si intrecciano, dal tuo punto di vista, le caratteristiche territoriali, produttive con questo appuntamento elettorale, i termini della rappresentanza e le preferenze politiche?
AL Considerando più da vicino le dinamiche di queste tre componenti contrapponendo un prima e un dopo, notiamo come le città medie abbiano storicamente conosciuto per gli ultimi vent’anni del Novecento un fenomeno abbastanza diffuso di contrazione demografica: quasi tutte erano segnate da una piccola ma significativa contrazione della popolazione e da dinamiche socioeconomiche duali. Da un lato alcune di esse tendevano a essere strettamente integrate a quelle parti di urbanizzazione diffusa, soprattutto distrettuale e manifatturiera, quelle che Arnaldo Bagnasco delineava in termini di “città medie di produttori”, di ceto produttivo manifatturiero contrapposta non solo con una città media di consumatori weberiani quanto altrettanto con una città media francese un po’ di professori, di direttori di musei, della pubblica amministrazione, del terziario un po’ più legato alle attività culturali, che non si può ridurre a meri “consumatori”.
Una parte di queste città medie, tendevano storicamente a integrarsi sotto molti punti di vista con l’economia distrettuale prossima attraverso un processo tendente all’osmosi. Per dirla con una battuta, a Gemonio – il paese dove vive Umberto Bossi- e a Varese si votava uguale, provincia e capoluogo erano entrambi amministrati dalla Lega, per via di questa stretta integrazione. E questo succedeva anche al Sud.
Oggi l'Italia diffusa, luogo privilegiato dello sviluppo anni Settanta e Ottanta, attraversa una grande biforcazione tra contrazione e ripresa che può essere descritta a livello macroregionale
A me sembra che oggi questo stia un po’ cambiando: dal punto di vista demografico, molte di queste città medie in un contesto di contrazione demografica di area sono i luoghi che non perdono popolazione, ma la mantengono e hanno piccoli incrementi. La città media in forte crisi è oggi l’eccezione - come Enna, Biella, Vercelli, per citarne alcune – mentre l’ Italia diffusa, luogo privilegiato dello sviluppo anni Settanta e Ottanta, oggi attraversa una grande biforcazione tra contrazione e ripresa che può anche essere descritta a livello macroregionale – come descrive Gianfranco Viesti - quella padana un po’ meglio, tranne i margini piemontesi e friulani, quella dell’Italia centrale un po’ peggio come l’Umbria e le Marche.
Sulle dinamiche di crisi, la contrazione è un po’ scomposta, ci sono diverse fratture, sarebbe un’Italia da scandagliare da cima a fondo. Dal punto di vista economico è differenziata: alcuni distretti sono molto forti economicamente ma non dal punto di vista sociale, alcune delle nostre multinazionali tascabili possono essere forti economicamente ma allo stesso tempo produrre un mercato del lavoro duale e precario – si veda per esempio nell’esternalizzazione del settore logistico.
Riguardo la dimensione ecologica e ambientale è chiara la grande fragilità di questi territori
Riguardo la dimensione ecologica e ambientale è chiara la grande fragilità di questi territori, si pensi al suolo e all’aria della bassa padana, ai livelli drammatici di inquinamento di inversione termica e inquinamento dei fondovalle alpini, pensate alla fragilità rispetto all’innalzamento del livello del mare e cosa può significare per parte dell’ urbanizzazione costiera, al fondo di sistemi fluviali che sono congestionati dall’urbanizzazione e assumono un carattere sempre più torrentizio, irregolare, con le relative dinamiche di insicurezza. Pur tuttavia, a differenza che nei contesti metropolitani, i temi ecologici-ambientali sono pochi sentiti.
Questa è un’Italia che conosce fenomeni di contrazione demografica che non sempre corrisponde all’indebolimento economico. Non è più l’Italia dei distretti, è un’Italia fatta da medie imprese non più così totalmente radicate nel territorio. Per questo occorre pensare ai diversi elementi – non necessariamente coincidenti - che compongono le reti complesse di fragilità dell’Italia di mezzo.
Mi sembra dunque che, sebbene in maniera non uniforme nella penisola, ci sia una ridefinizione di questi scenari che a livello elettorale si traduce in una separazione tra il voto della provincia e della città. La stessa provincia di Milano, per fare un esempio, si distacca dal capoluogo e si uniforma elettoralmente più ai comuni dell’urbanizzazione diffusa della provincia di Monza.
Il territorio dell’urbanizzazione diffusa è quello che per alcuni aspetti è più in crisi, è un territorio di cui fatichiamo a parlare. È lo scenario più attratto da uno scollamento dal voto o da un qualche voto di protesta, in cui votare chi in qualche modo tende a mostrare una qualche attenzione alla fragilità e propone qualche meccanismo di sicurezza – Quota 100, reddito di cittadinanza ‑ due misure che hanno mostrato attenzione verso pezzi di Italia in difficoltà.
Partiti come il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno dato voce a quei territori, in questo senso credo che siano territori non privi di rappresentanza e rappresentanti ma di rappresentazione. Dal punto di vista elettorale questa campagna pesa meno: un po’ disabitata ma ancora produttiva, tuttavia pesa molto da un punto di vista generale, pensiamo soltanto al punto di vista delle politiche di transizione ecologica.
Se elettoralmente è difficile fare una previsione, credo tuttavia sia necessaria la consapevolezza dell’impatto differenziale della contrazione, della crisi e dei processi di scollamento tra città media e urbanizzazione diffusa.
FRANCESCA LACQUA Considerato, come abbiamo visto, che la contrazione demografica non necessariamente coincide con la contrazione economica, sarebbe interessante capire in quale misura quella difficoltà di raccontare e definire un territorio molto complesso concorre a questa crisi: in questo senso il riferimento alla menzionata “città media francese di professori” porta a interrogarci anche sul tema della produzione culturale all’interno dell’Italia di mezzo ma anche sul ricambio generazionale e del rapporto tra questa Italia e le sue generazioni più giovani.
AL Questa Italia di mezzo è stata effervescente da un punto di vista intellettuale: la provincia e la città media italiana sono stati luoghi di grande produzione culturale, se pensiamo alla storia della letteratura italiana, dei cineasti, della musica popolare da Rino Gaetano a Vasco Rossi, se riguardiamo la storia della fotografia. Questa è stata un’Italia effervescente dal punto di vista intellettuale. Lo è ancora? Io non lo so, sarebbe utile una ricerca.
Si trattava di una produzione culturale molto segnata dal rapporto tra una tradizione terranea – non contadina - e un’osservazione ironica e disincantata rispetto ai processi di modernizzazione subita, pensate alle fotografie di Ghirri di quarant’anni fa. In altre parole, nasceva da questa tensione tra radicamento e osservazione, quella “modernizzazione senza sviluppo” letta anche da Pasolini (riletto dall’economista Sapelli) che in qualche modo però produce dinamismo.
Se guardiamo al punto di vista del governo questa non era un’Italia poi così marginale. Sicuramente il meglio della cultura riformista e cattolico-democristiana e socialcomunista, si è espresso in questi territori in una dimensione municipale. Tuttavia, dal punto di vista della cultura politica quel tentativo di gestione della modernizzazione ha incontrato due grandi limiti: il primo riguarda la difficoltà a superare “il campanile” e andare verso una rete di municipi che insieme gestisse la riorganizzazione del sistema delle attrezzature, il dialogo con il sistema delle imprese, la costruzione di politiche ambientali complesse. Tentativi in questa direzione sono stati in qualche modo espropriati da soggetti e capitali altri non più legati al territorio.
Il secondo limite riguarda il mancato progetto di “costruzione di un ambiente di vita interessante” che si misura nell’incapacità di gestire le politiche insediative, ecologiche, ambientali, paesaggistiche nel momento in cui il radicamento delle imprese viene meno: infatti, la dimensione locale di queste storicamente aveva permesso una “solidarietà a scala municipale”.
FL Abbiamo parlato della necessità di organizzare un territorio ospitale e abitabile, evocando il tema della sostenibilità nelle sue molteplici componenti – ecologica, sociale e mobile. Continuando a ragionare sul governo del territorio, quali strategie sono implementabili e come attivare coalizioni di attori a muoversi in questa direzione?
AL Le politiche di sostenibilità e di inclusione sociale vanno pensate insieme in maniera articolata. La stessa categoria di place based non va riferita solo alle politiche ma anche alle tecnologie, agli incentivi e alle regole. Se guardiamo al tema della mobilità è chiaro come questi territori sono – e rimarranno - profondamente legati al trasporto privato: alcune strategie sono tuttavia possibili. La necessità di incentivi differenziali per l’auto elettrica tra chi abita in città e chi fuori, tra chi ha facile accesso al trasporto pubblico e chi no. Secondo, implementare infrastrutture ciclabili sicure anche a livello provinciale che incoraggino l’uso della bicicletta elettrica. Terzo, la rimessa in funzione di un servizio ferroviario di tipo suburbano, in territori più densi, lungo le coste e lungo le valli, riattivando linee che già c’erano e sono state progressivamente chiuse o sospese. Eccezionalmente si può pensare alla riattivazione di alcuni tram in contesti di città medie o in cui l’urbanizzazione diffusa è effettivamente densa e lineare. In questo senso si dovrebbe favorire la densificazione lungo i filamenti di infrastruttura rimasta, rimettendole servizio di quei territori, di una mobilità locale e di rete, funzionale alle connessioni nazionali e internazionali.
Però tutto questo vuol dire mettere insieme politiche localizzative, insediative e politiche della mobilità, facendo interagire e integrare diverse infrastrutture, come ferrovie e ospedali.
Oltre alla mobilità, c’è un tema di transizione ecologica specifico per questi territori. Ci sono i rischi derivanti da un’agricoltura spesso inquinante, buone pratiche come quelle relative alla gestione differenziata dei rifiuti e potenzialità, si pensi solo a quanto si potrebbe ancora fare riguardo compostaggio, alla gestione delle acque piovane, de impermeabilizzazione, pannelli solari.
Facendo un esempio dal punto di vista dell’inclusione sociale, vediamo come questa sia un’Italia i cui valori immobiliari sono meno esplosi rispetto all’Italia metropolitana e con un patrimonio edilizio sottoutilizzato per cui è possibile una politica dell’edilizia a “buon mercato”, a canone concordato e di edilizia sociale, mettendo insieme offerta e domanda attraverso il tema delle agenzie dei contratti di garanzia, senza la necessità di costruzioni ex novo o la riconversione del patrimonio pubblico.
Ancora, se pensiamo alla riorganizzazione del capitale delle infrastrutture quotidiane e di Welfare ci rendiamo conto che questi sono modelli che sono stati pensati in gran parte per gli ambiti metropolitani, con qualche eccezione per le aree interne.
Concludendo, il fallimento delle politiche degli ultimi anni e in questo senso anche del Pnrr è stato, a mio parere, la mancanza di un pensiero che non rifletta a sufficienza su questa radicale – ma non infinita – pluralità rispetto alla transizione ecologica, alla riorganizzazione delle politiche di offerta dei servizi, ai processi di innovazione culturale e di inclusione sociale. Le strategie possibili sono molteplici, ma in primo luogo occorre uscire da alcune macroimmagini omologanti di politiche puramente settoriali che non si articolano nel territorio, cosi come da una esclusiva focalizzazione delle letture e delle politiche integrate su metropoli ed aree interne.
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