Questo articolo fa parte dello speciale Città medie al voto
Di Oristano Antonio Gramsci scrisse, il 23 settembre 1929:
Non è una città e non lo diventerà mai; è solo un grande centro rurale (grande relativamente) dove abitano i proprietari di terra o delle peschiere del territorio vicino e dove esiste un certo mercato di manufatti per i campagnoli che vi portano le loro merci agricole. Un centro di commercianti e di proprietari fannulloni, di usurai cioè, non è ancora una città, perché non c’è produzione propria di nulla che sia importante.
Invece, città lo è diventata. E perfino capoluogo di provincia, il più giovane della Sardegna nella sua configurazione tradizionale e più stabile a quattro ripartizioni. Un punto focale nella regione storica dell’omonimo Campidano di Oristano, localizzato nella parte settentrionale della pianura che connota questa fascia centro-occidentale dell’isola. Un centro abitato antico e permanente, che al netto della sua consistenza media per gli standard regionali – oggi assestata su una popolazione di poco superiore ai 30.000 abitanti – pure ha faticosamente negoziato, lungo tutta la sua biografia territoriale repubblicana più recente, il diritto di essere riconosciuto come primus inter pares nelle dinamiche di definizione dell’indirizzo strategico regionale, rispetto ai poli della dorsale che da Cagliari a Sassari penetra tutta l’isola da Sud a Nord.
Eppure, dal punto di vista dell’architettura organizzativa isolana, Oristano è il nodo di mappature rilevanti, non perfettamente coincidenti tra loro e a geometria variabile, che hanno intersecato l’esercizio del potere pubblico nelle sue dimensioni materiali, amministrative e giudiziarie – rispettivamente entro il perimetro cangiante della provincia omonima e lungo il bacino di competenza del circondario facente capo al Tribunale cittadino – e immateriali, quale sede metropolitana della Chiesa cattolica in forma di arcidiocesi.
La vicenda storica di Oristano è forse la più imponente e blasonata della regione, tanto nelle ricostruzioni storiografiche quanto nelle narrazioni che alimentano tuttora l’immaginario collettivo
Eppure, in una prospettiva di longue durée, la sua vicenda storica è forse la più imponente e blasonata della regione, tanto nelle ricostruzioni storiografiche quanto nelle vigorose narrazioni che alimentano tuttora l’immaginario collettivo: capitale dall’anno 1070 fino al 1410 del Giudicato di Arborea, uno dei quattro Stati indipendenti che si formarono in Sardegna alla dissoluzione dell’impero bizantino in area occidentale, è qui che la giudicessa Eleonora, la cui statua bianca domina ancora oggi il centro storico cittadino, promulgò la Carta De Logu , la più importante raccolta di leggi della Sardegna medievale, rimasta vigente in tutta l’isola, quasi senza interruzioni, fino al 1827.
Eppure, in chiave di genealogia più strettamente politica e decisamente meno remota, è qui che il 17 aprile 1921 – appena tre mesi dopo la nascita del Partito comunista italiano – una figura altrettanto mitica, quella di Emilio Lussu, fondò con altri eroici reduci della Brigata Sassari, riuniti nell’ex-convento degli Scolopi per il quarto Congresso dei combattenti sardi, l’ormai ultra-centenario Partito sardo d’Azione, il cui programma propugnava l’autonomia della Sardegna e che venne definito dal già menzionato Gramsci come “il primo partito laico dei contadini, specie dell’Italia centrale e meridionale”. Appare quantomeno un singolare abbrivio storico che gli epigoni più recenti di quella storia collettiva nata proprio a Oristano siedano oggi alla presidenza e ai vertici della Regione autonoma della Sardegna, in una coalizione di centrodestra capeggiata dalla Lega, nella sua corrente variante salviniana, e da Forza Italia e Udc.
Eppure, sotto il profilo della pianificazione socioeconomica, è qui che si dipana uno dei progetti al contempo più visionari e lungimiranti in tema di direttrici operative per lo sviluppo locale, sin dalla fine degli anni Cinquanta, quando Oristano venne individuato come apice del triangolo territoriale tracciato con Bosa e Macomer dal Progetto Sardegna dell’Oece (Organisation européenne de coopération économique), una sperimentazione pilota di investimento territoriale che aveva l’obiettivo dichiarato di innescare un prototipo di sviluppo locale integrato endogeno, capace di combinare la valorizzazione delle pratiche e dei saperi, che costituivano l’architettura organizzativa del tessuto socio-produttivo pre-esistente, con un programma di interventi di accompagnamento tecnico e formativo, condotti da un team di giovani esperti internazionali qualificati negli ambiti disciplinari più diversi, dall’agronomia, alla sociologia, al design.
Il mondo sociale nel quale questo esperimento dirompeva presentava una matrice composita di piccole comunità̀ rurali, capillarmente distribuite su tutta l’area selezionata, le cui basi materiali erano sostenute da unità aziendali familiari agricole e pastorali, da botteghe già̀ attive come fucine di artigianato di qualità̀, da nuclei embrionali di industria manifatturiera e agroalimentare di piccola e media entità̀. Il contributo del progetto avrebbe dovuto essere l’ampliamento degli orizzonti territoriali e remunerativi cui gli attori economici locali potessero rivolgersi, immettendone le filiere nei canali dei mercati nazionali e internazionali d’oltremare, anche per affrancarsi dalla nomea di isola impenetrabile, frammista di esotismo e atavismo, che in larga misura costituiva la copertura rappresentativa di un regime di produzione e riproduzione sociale poco lontano dalla sussistenza.
Oristano fu protagonista di primo piano di quella straordinaria occasione storica, decisamente antesignana e di certo troppo precoce sui tempi per non dovere ben presto cedere il passo, nel 1962, dopo appena quattro anni, all’irresistibile avanzata del Piano di Rinascita (Legge 588/62) e al trasferimento massiccio di risorse pubbliche destinato a finanziare l’impianto di complessi petrolchimici, talmente avulsi dal paesaggio antropico isolano da acquisire la definizione di vere e proprie “cattedrali” della modernità avanzata nel settore secondario, anche se allocate nel deserto di un contesto ancora intrinsecamente agro-pastorale e già̀ pesantemente toccato dall’erosione migratoria delle proprie aree interne. Un intermezzo emblematico, destinato a riemergere dopo quasi cinquant'anni dal suo sonno carsico come modello di sviluppo da recuperare e riattivare, soprattutto per contrastare l’emergenza dello spopolamento che, a cavallo tra i due millenni, ha portato questa città al triste primato di area demograficamente più erosa d’Italia sotto il profilo del tasso di natalità, il più basso su scala nazionale, con appena 4,6 nati ogni mille abitanti alla fine del 2021.
Un impatto feroce sui trend di invecchiamento della città, generato anche dal lento ma costante movimento centrifugo che ha trascinato nella sua emorragia soprattutto le coorti più giovani, lungo un itinerario con due stazioni di posta spesso consecutive: dapprima il capoluogo costiero cagliaritano, e, in seconda battuta, sull’altra sponda del Mediterraneo, il “continente”, dalla scala nazionale peninsulare a quella europea e via via sempre più globale.
Tra le motivazioni che spingono i più giovani alla partenza pesano i caratteri asfittici del tessuto produttivo locale, fortemente terziarizzato. E da qui il triste primato di area demograficamente più erosa d’Italia
Di certo, tra le motivazioni alla partenza e la fatica crescente della restanza, pesano i caratteri sempre più asfittici del tessuto produttivo locale, che già dalla crisi del 2007 il rapporto della Camera di Commercio locale definiva come fortemente terziarizzato, con l’81% della quota del valore aggiunto prodotta a livello provinciale proprio nei servizi, per quanto diversificati tra il comparto del commercio, la ricezione turistica e tutti i servizi alla persona e alle imprese. Cui si integra, tuttavia, entro i confini amministrativi di Oristano, un peso del settore primario non trascurabile, con circa 550 aziende dislocate in modo rilevante nelle frazioni del capoluogo, che mantengono una vocazione agricola ancora piuttosto marcata, e una superficie totale destinata all’agricoltura pari a circa il 60% del territorio comunale. La tipologia è quelle delle imprese medio-piccole, capaci di occupare in totale circa 2.000 addetti, di cui l’85% rappresentati da conduttori e familiari e appena il 15% da altra manodopera.
Una vaga eco dell’amara profezia di Gramsci – che era nato ben poco distante da quel territorio, ad Ales, oggi comune appartenente alla provincia sospesa di Oristano – con le atomistiche aziende contadine e zootecniche a fare da simulacro perpetuo allo scenario da lui evocato. Nonostante non manchino i segnali innovativi e in direzione ostinata e contraria, fatti di ritorni, di piccole imprese multifunzionali nel settore primario, giovani e innovative, se è vero che delle 6 start up isolane più promettenti nel settore dell’agricoltura rilevate nel 2022 dall’ultimo rapporto Crenos, ben 5 si trovano a Oristano e dintorni. E tuttavia resta la fatica di uscire dall’eccezione per fare massa in reti territoriali capaci di innervare capillarmente questa porzione dell’isola e la sua città di riferimento, dove la qualità della vita si collocava al 67° posto su 107 posizioni misurate dai consueti indici del "Sole - 24 Ore", lungo il continuum tra il primato nazionale in fatto di irrilevanza della criminalità e la peggiore performance in termini di percentuale di laureati tra i 25 e i 39 anni, appena il 13,7% su una media nazionale del 26,6%.
Infine, restando in tema di viaggi e grandi spostamenti che inevitabilmente Oristano ha tutti i titoli per raccontare, non si può non fare un cenno ad altre rotte: quelle perdute dal vicino aeroporto di Fenosu, la cui storia minima di mancato decollo e poi chiusura a tempo indeterminato dopo i primi promettenti segnali come scalo commerciale nei soli sei mesi di attività, dal giugno 2010 al gennaio 2011, risulta quasi aneddotica rispetto allo stato di attesa sospesa verso un rilancio pressochè godotiano; quelle resistenti, stagione dopo stagione, de Sa Genti Arrubia, il Popolo rosso dei fenicotteri, che in quest’area ha eletto il suo habitat stanziale, dove continuare a nidificare, dove compattarsi come comunità protetta, dove restare e, perfino, tornare.
Il 12 giugno Oristano si presenta al voto amministrativo, con 4 candidati sindaci, tutti uomini: il vicesindaco uscente Massimiliano Sanna per il centrodestra, Efisio Sanna per il centrosinistra con il sostegno del Movimento 5 stelle, Sergio Locci e Filippo Murgia supportati da due liste civiche.
In quest’agone, Oristano risulta un vero e proprio banco di prova, quale roccaforte di centrodestra, per la tenuta della Giunta regionale a trazione Lega-Psd'Az e per il suo presidente Christian Solinas, oltre che, per una volta, il primo comune della Sardegna tra quelli coinvolti nell’appuntamento elettorale per rilevanza comparata, sebbene su un piano strettamente demografico-algebrico. Ma tant’è.
Anche da qui, occorre ripartire.
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