Le dichiarazioni di questi giorni hanno reiterato messaggi contraddittori sia sull’andamento dell’economia, sia su quello dei conti pubblici. Il governo rassicura che il peggio è passato e che ci sono segnali di ottimismo, proprio mentre i dati Istat sull’andamento del Pil nel primo trimestre denunciano un -5,9% rispetto al primo trimestre del 2008. L’andamento del Pil è peggiore rispetto a quello previsto poco più di due settimane fa con la Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica (Ruef), che a sua volta aveva rivisto verso il basso le stime fatte nei mesi precedenti.
Il governo, per voce dei suoi più quotati ministri, ci informa poi che le cose vanno meglio perché la caduta del Pil sta rallentando, non perché il Pil ha smesso di cadere!
Per quanto riguarda i conti pubblici, veniamo rassicurati dal fatto che siamo i più bravi in ambito comunitario e che non c’è bisogno di “mettere le mani nelle tasche dei cittadini”, né di fare manovre estive. Ma come stanno andando veramente i conti pubblici? Date le nuove stime sul Pil, anche il disavanzo sarà superiore, nel 2009, al 4,6% del Pil previsto un paio di settimane fa nella Ruef. L’avanzo primario (entrate e uscite al netto della spesa per interessi) ormai prossimo a zero rischia di trasformarsi in disavanzo, con effetti negativi sull’andamento del debito pubblico. Quest’ultimo tornerà a superare il 120% del Pil, un valore ben più elevato di altri Paesi, come Germania e Francia.
Di per sé non sorprende che disavanzo e debito crescano, data la gravità della situazione economica. Ciò che preoccupa è la dinamica osservata delle entrate e delle uscite alla luce degli interventi di politica economica effettuati fino ad ora. Dal lato delle entrate le stime per il 2009 appaiono troppo ottimistiche in relazione alle attese circa l’andamento dell’economia e ai dati del primo trimestre. L’ottimismo si fonda sui “migliori e più efficaci accertamenti” annunciati dal governo, che sono però tutti da verificare. Dal lato delle spese, sorprende e preoccupa la crescita della spesa corrente al netto di quella per interessi (+3,6% rispetto al 2008). Essa non è dovuta, infatti, se non marginalmente, a interventi per fronteggiare la crisi, o agli effetti automatici legati alla crisi stessa, ma riflette un andamento inerziale e ingovernato. Ad aggravare la situazione, se questo non bastasse, concorrerà presto la spesa per interessi, che invece di calare inizierà a crescere, in quanto i tassi di interesse hanno toccato il loro punto di minimo, mentre il debito pubblico sta aumentando.
La fiducia rappresenta sicuramente un ingrediente importante per la soluzione della crisi, ma non si crea con ripetuti appelli all’ottimismo, né con sterili polemiche con l’opposizione e con la stampa. Serve invece capacità di intervento, informazione, chiarezza e trasparenza sulle misure con cui si intende fronteggiare i problemi, nel breve e medio periodo, e sul riflesso di queste sui conti pubblici.
In altri Paesi e presso gli organismi internazionali è in atto un approfondito dibattito sulle ricette economiche necessarie per fronteggiare la situazione di emergenza: gli interventi devono essere consistenti, incisivi e mirati a stimolare la domanda, oltre che rivolti a garantire la coesione sociale, affrontando i costi sociali della crisi. Soprattutto, devono essere corredati da misure strutturali che diano la certezza dell’andamento dei conti pubblici nel medio e lungo periodo, quando la crisi sarà risolta. Di questo dibattito non vi è traccia nel nostro Paese.
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