La morte di Piero Angela il 13 agosto scorso, a 93 anni, è capitata nella “sua” estate, in quella stagione televisiva che ormai da più di vent’anni presidiava, per una sera a settimana nella prima serata di Raiuno, con SuperQuark.Troppo ridotti gli ascolti e troppo forte la competizione per collocare quelle ore di racconto della scienza e della storia in altri momenti dell’anno, ma pure troppo importante il ruolo e troppo preziosa la competenza di quel professionista per poterne fare a meno: e così l’equilibrio da tempo si era trovato proprio nelle serate estive, oltre che in qualche attività parallela rivolta alle scuole o da collocare sulle piattaforme, per rivolgersi a nuove generazioni di spettatori e insieme per dare spazio e voce a nuove generazioni di scienziati. Anno dopo anno, la voce era più fioca e impastata, la fatica via via più visibile, ma Piero Angela era sempre lì. Ed è coerente, naturale, che alcune puntate già pronte stiano andando in onda anche dopo la morte, e che il suo ultimo messaggio, un testamento in poche righe, sia uscito sulla pagina Facebook del programma.
Anno dopo anno, la voce era più fioca e impastata, la fatica via via più visibile, ma Piero Angela era sempre lì
Proprio in quella breve lettera rivolta al suo pubblico, insieme alla riconoscenza quanto ha potuto fare, al ringraziamento alla squadra di collaboratori, all’invito a fare anche noi la nostra parte per un Paese “difficile”, compare in un rapido cenno la migliore definizione del ruolo occupato per decenni da Piero Angela nella tv, e quindi nella cultura, italiana: “Ho cercato di raccontare quello che ho imparato”. In sole otto parole stanno tutto il senso e tutto il valore della divulgazione scientifica e del fare cultura: una funzione, nobile e preziosa, di mediazione, di condivisione, di dialogo. Angela non ha mai preteso di sostituirsi all’esperto, allo scienziato, allo storico, allo studioso, spesso visibile con lui sullo schermo e spesso coinvolto in ruoli autoriali nei suoi programmi, ma è stato un indispensabile intermediario tra queste figure intellettuali “pure” e i milioni di spettatori e spettatrici a casa. A fare la differenza, con Piero Angela, era la sua volontà di capire a fondo, prima di spiegare e raccontare (e abbiamo visto bene negli anni di pandemia quanto la comunicazione medica e scientifica senza questa attenta elaborazione, senza questo impegno interpretativo possa rivelarsi approssimativa, quando non problematica). È stato lo stesso Angela, nel suo discorso pronunciato all’Università di Torino, in occasione della laurea honoris causa in Fisica ricevuta dall’Ateneo nel 2003, a spiegare con molta chiarezza la sua speciale missione, il suo obiettivo spesso raggiunto: “il compito di un divulgatore è quello di cercare di tradurre questa conoscenza in caratteri più leggibili, per un pubblico non specializzato. E io mi considero proprio un traduttore, che cerca di tradurre dall’italiano in italiano. Questo significa rispettare sempre il testo originale, cioè i contenuti della scienza, ma riscriverli in un linguaggio più comprensibile […]. Dalla parte degli scienziati per i contenuti, dalla parte del pubblico per il linguaggio”. Di fronte a temi ostici, o anche solo a campi del sapere che paiono non ottenere una facile attenzione, gli spettatori vanno presi per mano, accompagnati passo dopo passo, con una guida che stia sullo stesso piano, senza piedistalli, e che si ponga il problema di non lasciare nessuno indietro, di farsi capire, di coinvolgere e stimolare.
Di fronte a temi ostici, o anche solo a campi del sapere che paiono non ottenere una facile attenzione, gli spettatori vanno presi per mano
Nel suo approccio alla scienza, e al suo racconto, Piero Angela è stato fieramente illuminista, con uno sguardo sempre razionale, senza cedimenti, con un ottimismo di fondo, con una visione laica portata avanti in modo rispettoso ma coerente. Oltre all’Illuminismo dell’Enciclopedia, ed è forse una notazione un poco più critica, nell’agire del giornalista c’è stata una costante influenza del Positivismo, una fiducia forte ed entusiasta nei risultati della scienza, che non lascia spazio a dubbi e ripensamenti, che non prevede discussioni e sfumature intorno a una verità faticosamente e avventurosamente conquistata. Lo ha ricordato il figlio Alberto, erede anche televisivo, nel breve discorso all’apertura della camera ardente in Campidoglio: “È riuscito a unire, non a dividere, pur mantenendo le sue opinioni, talvolta ferree”. E questo grazie all’abilità narrativa e affabulativa, nel tradurre la realtà; a un senso leggero dell’umorismo; e a un understatement tutto piemontese, o anzi meglio torinese, uno scansarsi di lato a occupare un posto solo apparentemente terzo e laterale, senza mai però farsi mancare qualche guizzo.
Ad alcuni potrà sembrare un accostamento blasfemo, ma il percorso di Piero Angela è stato parallelo e analogo a quello di un altro grande personaggio della televisione italiana, Mike Bongiorno (e le reazioni corali alla notizia della morte ne sono, in qualche modo, un’ulteriore conferma). Se Bongiorno si è quasi subito collocato, tra i pilastri di un servizio pubblico televisivo nascente, sul versante dell’entertainment, Angela ha presidiato i campi dell’informazione, dell’approfondimento, della programmazione educativa, ma con una presenza e una prospettiva del tutto simili. Come Mike, Piero Angela è stato presente in tv fin dai primi giorni di trasmissione regolare (era in radio dal 1951, ed è riuscito a festeggiare settant’anni di lavoro continuativo in Rai). Ha fatto il giornalista per il tg e poi il conduttore, nel momento in cui chi scrive notizie e realizza servizi ha preso il posto dei primi speaker nella lettura dei fatti del giorno. È stato corrispondente stabile in Europa, a Parigi e a Bruxelles, e inviato, in Iraq e in Vietnam. Tra i volti più noti del servizio pubblico già in questo primo momento, ha contribuito a inaugurare e consolidare l’edizione di mezzogiorno del primo telegiornale e poi il notiziario del secondo canale. Ed è in questi ruoli da “giornalista-giornalista” che si è avvicinato alla scienza, tra servizi, speciali e rubriche. Come Mike, Angela subisce e reagisce poi al cambio profondo di sistema che, dalla seconda metà degli anni Settanta, rivoluziona la televisione italiana, moltiplicando l’offerta e la concorrenza, introducendo il colore, costringendo a sperimentare nuovi linguaggi per un pubblico più mobile.
È qui che si colloca, con successo duraturo, un programma come Quark, pensato nel 1981 come un modello di divulgazione scientifica che potesse accogliere la sfida della neo-televisione: un magazine multiforme, vario e colorato, con servizi di molteplice natura, scalette dal ritmo sostenuto, contaminazione tra stili diversi, innesti dal meglio della produzione internazionale (a partire dai documentari confezionati dal servizio pubblico britannico, Bbc, e da David Attenborough, messi in quadro, raccontati e spacchettati). È da lì che poi gemmeranno tutte le altre declinazioni del marchio, tutti gli altri programmi dei due Angela.
Ancora, complice l’apprendistato giornalistico, complice la volontà di raccontare con parole semplici concetti anche molto complessi in una divulgazione che via via diventa il suo impegno prevalente, come Mike anche Piero Angela ha fatto della semplicità e della chiarezza la sua cifra distintiva nel rapporto con un pubblico che è sempre stato, necessariamente, ampio, trasversale, abbondante, generalista: il pubblico della televisione, fatto non di nicchie (auto)selezionate ma di una massa indistinta, quella della scuola dell’obbligo, quella della cittadinanza democratica, dove la vera sfida sta nel non escludere, ma nel (provare a) tenere insieme tutti. In questo, Piero Angela non è stato solo un grande uomo, un eroe nazionale, l’innesco di mille carriere scientifiche o pedagogiche, come abbiamo potuto leggere nelle tantissime testimonianze, storie e aneddoti dolceamari di questi giorni. Ma è stato anche un enorme professionista televisivo, impegnato a fondo nel migliorare, perfezionare, innovare sia il racconto sia il linguaggio della scienza sullo schermo e nel tener aperto il dialogo con il pubblico tutto.
Senza facili scuse, insegnando molto a chiunque provi a fare cultura, sui media e in generale: come nella perfetta dichiarazione recente a un convegno, quando sottolineava che “il vero nemico della cultura non è lo share ma la noia”, che non è colpa delle persone ma dei modi con cui troppo spesso ci si rivolge a loro. In questo, Piero Angela ha costruito una popolarità, e un’autorità, condivisa da tante generazioni, ognuna con il suo innesco – per la mia, sono stati i titoli monografici in più puntate degli anni Novanta, viaggi avventurosi e spettacolari nel corpo umano (La macchina meravigliosa, 1990), nei dintorni di Jurassic Park (Il pianeta dei dinosauri, 1993) o ai confini dello spazio (Viaggio nel cosmo, 1998). E in questo, anche, Piero Angela ha avuto un importante ruolo civico, politico: nell’impegno del lavoro, nella missione per gli altri, nella misura da dare alle cose, nella fiducia in un progresso che dev’essere per tutti, e capito da tutti. Era consolante sapere che fosse lì, in onda, anche se poi magari lo guardavamo solo qualche volta. Ed è questo simbolo, questa presenza, ciò che già ci manca.
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