Le politiche demografiche sono difficili da progettare e da attuare per almeno tre motivi. Il primo riguarda gli obiettivi che queste politiche dovrebbero porsi. Anche se molti demografi ci hanno provato, è piuttosto difficile definire l’ottimo di popolazione, ossia «quel livello di popolamento nel quale il benessere individuale è massimo, e verrebbe diminuito frazionalmente sia dall’aggiunta sia dalla diminuzione di un individuo».

Questa definizione di Massimo Livi Bacci (Enciclopedia Treccani delle Scienze sociali, 1996, voce «Popolazione») può essere estesa sostituendo «quel livello di popolamento» con «quella proporzione di giovani o di anziani», «quella proporzione di stranieri», «quel numero di nascite» e così via. Infatti, non è affatto facile definire un chiaro legame funzionale fra il benessere individuale e i parametri demografici. Il benessere individuale, poi, è qualcosa di altrettanto complesso. Ad esempio, dal punto di vista materiale, per una coppia avere figli è insensato: è stato calcolato che, in Italia, un figlio in più equivale mediamente a 160-200 mila euro di risparmio in meno quando il figlio stesso inizia a lavorare.

Tuttavia, in molti casi, quando una coppia desidera avere figli e non ne arriva neppure uno ciò porta infelicità. Inoltre, la definizione di Livi Bacci andrebbe estesa, perché oltre al benessere individuale va considerato anche il benessere collettivo, che non è dato solo dalla somma di tanti benesseri individuali. Ad esempio, se andare presto in pensione viene percepito dai più come benessere individuale, a livello collettivo una bassa età pensionistica, innalzando il debito pubblico, è certamente una iattura anche per i neo-pensionati, che si vedono tagliare la spesa sanitaria e i fondi per asfaltare le strade e per la cura del verde pubblico.

Questo esempio richiama un problema ulteriore, di sfasamento temporale: ciò che oggi è effettivamente avvertito come benessere individuale (andare presto in pensione) può trasformarsi, col tempo, in malessere individuale e collettivo (il fardello del debito caricato sulle spalle delle giovani generazioni) – si veda in questo numero il saggio
di Gustavo De Santis. Sergio Della Pergola – il demografo italo-israeliano che nel 2004 suggerì a Sharon il ritiro da Gaza, convincendolo che per Israele era demograficamente insostenibile occupare quell’affollatissimo territorio – una volta mi ha fatto notare che «il problema è che i demografi ragionano sugli anni, i politici avendo in mente il telegiornale delle otto».

Generalizzando, poiché la demografia ha spesso tempi lunghi, il suo rapporto con la politica dovrebbe essere all’insegna dell’«etica della responsabilità»: secondo Max Weber le scelte politiche non dovrebbero basarsi tanto sui principi assoluti, quanto piuttosto sulla previsione delle conseguenze delle scelte stesse. Ma non tutti i politici sanno chi è Max Weber, e in pochi seguono i suoi consigli.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 5/18, pp. 735-741, è acquistabile qui]