«Il Mulino» ha scritto già dieci anni fa del declino economico dell’Italia. Il tema è tornato di attualità e ne darò una valutazione più approfondita nel numero della rivista che uscirà a fine estate. Perché occuparsene di nuovo? Perché ora come allora ci rendiamo conto che l’Italia frena mentre altri accelerano: non abbiamo più scuse. La crisi 2008-2009 è stata infatti grave per tutti i Paesi industriali, ma alcuni – a cominciare dalla Germania – hanno già superato quella crisi. Noi no; e in questo difficile 2011 rischiamo di arretrare ancora. Perché da quindici anni la produttività in Italia non cresce? Perché la rivoluzione ICT nel nostro Paese non si è accompagnata alla radicale ristrutturazione tecnico-organizzativa a tal fine necessaria. La nuova tecnologia (che per ciascuno di noi rappresenta una esternalità, cioè dà guadagni di produttività se anche tutti gli altri vi partecipano) è stata “aggiunta” alle precedenti, invece di sostituirle. La stessa flessibilità del mercato del lavoro, che quella rivoluzione tecnologica richiedeva, da sola e senza realizzare quel cambiamento ci ha dato solo la precarietà di tanti giovani, oggi senza futuro. Tre aspetti meritano di essere sottolineati.

1)     La crescita richiede molta concorrenza. Non solo nell’industria, ma anche nei servizi, pubblici e privati. Noi abbiamo invece tanta economia caratterizzata da “favori reciproci” come conferma la cosiddetta “indagine P4”: il problema non sono gli eventuali aspetti penali, ma quell’intreccio di “raccomandazioni” che l’”Economist” un mese fa aveva descritto con notevole precisione!

2)      La qualità della concorrenza dipende a sua volta dalla legalità, L’altro grande assente ormai da molti anni. Senza legalità non c’è crescita, come ho scritto altrove denunciando la tanta illegalità che caratterizza l’attività urbanistica dei nostri Comuni (anche in quel di Piacenza). L’ha sottolineato il governatore Draghi il 31 maggio scorso, quando ha affermato che per gli enti locali si deve prevedere “un serrato controllo di legalità”! (nei tantissimi commenti sulle ultime Considerazioni Finali di Draghi quest’aspetto è stato stranamente trascurato: come mai?).

3)     Concorrenza e legalità non bastano per tornare a crescere, se il crescente populismo non viene contrastato con un po’ di sana meritocrazia. Non solo a parole, come ormai da molti anni un po’ tutti fanno. Ma anzitutto in ciò che è preliminare alla valorizzazione del merito, e cioè nella maggior serietà e onestà di ogni valutazione. Pensiamo a come si fanno oggi gli esami di maturità, o peggio ancora gli esami universitari in moltissime sedi universitarie. E non solo per gli scandali dovuti ai bidelli che vendono i voti, ma ai tanti casi in cui l’esame non è affatto scritto, e poi corretto in modo anonimo, e quindi valutato in modo “ordinale”, come accade nei paesi civili. Ogni riforma universitaria come quella in corso, riempie la Gazzetta Ufficiale di pagine e pagine di nuove norme, e mai una volta che si limiti a quelle poche cose che basterebbero per tornare ad avere scuole e università serie.

Essendo ancora un Paese ricco, l’Italia può permettersi – ormai da quindici anni – di non crescere, mantenendo a lungo in famiglia i tanti giovani cui è stato negato un futuro. Ma se queste analisi e queste ricette servono ad elevare la qualità del dibattito politico, non è da escludere che, prima o poi, l’economia italiana torni a crescere e recuperi il tempo (e il reddito) perduto. Ma fra quanto tempo?