In un articolo apparso il 5 maggio sul “Corriere della Sera”, Roger Abravanel (atteso in questi giorni nelle più prestigiose università milanesi, Bocconi e Politecnico, per la presentazione del suo ultimo libro) ha tra l’altro sostenuto che “la nostra università è gratuita”, che la “colpa è delle tante lauree inutili sfornate da mediocri atenei” e che gli studenti non dovrebbero lamentarsi per “vecchi stereotipi come l’assenza del diritto allo studio”. Partecipando poi la stessa mattina ad una trasmissione radiofonica, come ci informa un tweet di Radio 3, ha affermato che “le scuole del Sud sono al livello dell’Afghanistan”. Tali affermazioni sollevano alcune perplessità. Come certificato dall’“Education at a glance” dell’Ocse, le tasse universitarie in Italia (per l’ultimo anno disponibile) si attestano a 1.407 dollari a parità di potere d’acquisto, cioè il livello più alto fra i Paesi europei considerati dall’organizzazione dopo Regno Unito e Olanda. La stessa organizzazione certifica un forte aumento delle tasse universitarie italiane negli ultimi anni; la Banca d’Italia, nel suo recente L’economia delle regioni italiane collega l’aumento del costo dell’università a una diminuzione delle iscrizioni, soprattutto di studenti del Mezzogiorno di famiglie a basso reddito. L’università italiana non è quindi né gratuita né “pressoché gratuita”, come sostenuto il 12 aprile sullo stesso giornale da Alesina e Giavazzi.
Quanto ai mediocri atenei, un recente lavoro di Emanuele Ciani e Vincenzo Mariani della Banca d’Italia cerca di misurare l’esito occupazionale dei laureati di diverse università, tenendo conto del tipo di studi svolti e delle condizioni territoriali del mercato del lavoro. La “graduatoria” che ne emerge è non priva di sorprese e suggerisce grande prudenza nell’attribuire la qualifica di “mediocre”. È interessante ad esempio vedere che l’Università di Bari (dove lavora chi scrive), definita il 19 agosto 2013 da Giavazzi, sempre sul “Corriere”, “una fabbrica di illusioni”, la cui chiusura sarebbe opportuna, figura nona su 68 nella stima dei ricercatori sulla capacità occupazionale dei propri laureati.
Quanto al diritto allo studio, è assai diffusa fra gli esperti di istruzione l’opinione che forme reali o monetarie di sostegno agli studenti siano non uno stereotipo ma una componente essenziale delle politiche universitarie. Sempre l’Ocse mostra che la percentuale di studenti italiani che ne beneficia è più contenuta rispetto ad altri paesi europei; dati Anvur, ripresi in una recente analisi di chi scrive, mostrano anche che tale sostegno è assai più basso nelle regioni del Sud rispetto al resto d’Italia.
Infine, quanto all’Afghanistan, forse non sono necessari commenti né sui contenuti né sullo stile dell’affermazione. Il lettore interessato alle scuole del Mezzogiorno può consultare il rapporto della Fondazione Res – in uscita da Donzelli – che prova a misurare la capacità delle scuole di accrescere le competenze degli studenti, dato il loro livello di partenza, e mostra una situazione non priva di criticità, ma con moltissime scuole del Sud che raggiungono risultati eccellenti.
In conclusione, spiace che tanti cittadini siano informati in questo modo: la situazione della scuola e dell’università italiana meritano certamente una discussione più informata e corretta.
[Una versione di questo intervento è apparsa il 10 maggio sulla pagina dei commenti del “Corriere della Sera”]
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