Un tempo si diceva: “le parole sono pietre”. In questa coda di fine anno, è in primo piano il tema dell'abbassamento dei toni da parte delle diverse fazioni politiche. Dall’episodio milanese di domenica 13, non passa giorno senza che qualche rappresentante politico o istituzionale non lanci un invito alla moderazione e alla cautela. O addirittura, nei casi più arditi, alla concordia e all’unità nazionale. Molte frasi vengono indirizzate in tal senso, spesso in libertà e ancora più spesso pronunciate da chi sino a pochi giorni prima sembrava aver scelto strategie comunicative molto meno equilibrate. Anche il 2009, infatti, è stato per molti versi segnato da una politica strillata, fatta di un’enfasi verbale straordinariamente povera di contenuti, gonfia di un continuo cicaleccio, mirato più a offuscare la realtà delle cose importanti che a segnalarne il cambiamento.
Gli esempi per farci tornare alla mente la violenza delle parole e allo stesso tempo la loro straordinaria volatilità non mancano: verba volant, d’accordo, ma grazie ai media e al web in particolare oggi, soprattutto, scripta manent.
E meno male, visto che anno dopo anno il nostro sembra sempre più il Paese dei senza memoria; si tratti di memoria a breve (i fatti degli ultimi mesi) o a lungo termine (i fatti di Piazza Fontana, tanto per citare un episodio drammatico dei tanti che hanno segnato la nostra Repubblica, di cui sono caduti pochi giorni fa i trent’anni: si veda, appena pubblicato, Stragi e strategia della tensione, “il Mulino”, n. 6/2009). Volendo celebrare adeguatamente questo 2009 che sta per chiudersi, limitiamoci a cercare in quella che gli psicologi chiamano, appunto, Short Term Memory. Procediamo con ordine.
Era gennaio, e la lotta alla violenza sulle donne (almeno a quella fuori dalle mura domestiche) faceva affermare al presidente del Consiglio con grande decisione che “per evitare gli stupri servirebbe un militare per ogni bella donna”. Due settimane dopo, lo stesso presidente indossava il camice da medico, affermando che “Eluana Englaro potrebbe avere un figlio”: una delle frasi più infelici che hanno segnato quella vicenda drammatica (ma la gara per assegnare la palma del vincitore è indubbiamente molto dura: cfr. Assassini! Assassini!, pubblicato sul “Mulino”, n. 3/2009).
Aprile, il sisma sconvolge l’Abruzzo, e ai terremotati senza casa e, molti, in lutto, Berlusconi si rivolge così, tanto per tenerli su di morale: “Prendetela come una vacanza!”. Sembrerebbe la battuta del 2009, ma siamo soltanto al 7 aprile e l’anno è ancora lungo. Così, pochi giorni dopo, sempre in Abruzzo, si rivolge all’Assessore Lia Beltrami: “Posso palpare un po’ la signora?”.
Nella gara delle parole più infelici, e pesanti, sembrerebbero colpi messi a segno da chi vuole sbaragliare la concorrenza. Ma per fortuna la competizione si ravviva grazie al ministro Brunetta, che – a dispetto delle migliaia di poliziotti che ogni giorno fanno il loro dovere, come si dice, e che in alcuni casi faticano a ricevere l’equipaggiamento necessario per farlo come si deve – afferma perentorio che “non si possono mandare in giro i poliziotti panzoni”. Tanto per tenere disteso il clima e favorire il dialogo tra le parti politiche, proprio quel dialogo che nell’ultima settimana è stato tanto invocato, lo stesso Brunetta ricorda con malcelata eleganza che “In Italia la sinistra è un’élite di merda: che vada a morire ammazzata”; mentre l’onorevole Bossi minaccia a più riprese di aprire gli arsenali padani, sino a quando, l’8 ottobre, dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte costituzionale, abbandona ogni incertezza: “A questo punto bisogna fare la guerra”. Ma si sa, sono solo provocazioni, frasi dette sull’onda delle emozioni, così, senza importanza. Che importa poi che vengano da ministri, onorevoli, presidenti del Consiglio.
Certo, l’elenco è ancora lungo, e si rischierebbe di risultare noiosi. Ma forse non sarebbe del tutto inutile ricordare e mettere in fila le più belle frasi a effetto dell’anno. E’ il bar della politica, che ci piaccia o no. Ma se le parole sono ancora pietre, come si diceva un tempo, c’è sempre il rischio che prima o poi qualcuno si possa far male. Di nuovo e di più.
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