Guantanamò, France? Come direbbe Mark Twain, le notizie dell’apertura di Guantanamo francesi – Guantanamò, dunque – erano un filino esagerate. Giuridicamente, si tratta di inserire in Costituzione, accanto a stato d’assedio e conferimento di poteri eccezionali al presidente della République, già previsti dal testo, anche l’état d’urgence, sinora regolato solo da un legge del 1955, magari allungandolo oltre i tre mesi già dichiarati dopo gli attentati del 13 novembre. E questo soprattutto al fine, apparentemente modesto, di evitare che il Conseil constitutionnel, ossia quegli eterni rompiscatole dei giuristi, trovino da ridire sulla costituzionalità di provvedimenti contro il «terrorisme de guerre»: come l’ha ribattezzato oscuramente il presidente Hollande, al fine di mostrare la propria tempra di statista in piena campagna per le regionali.
Siamo alle solite, però. Tutte le volte che a un governo in crisi di credibilità una guerra o il terrorismo danno l’occasione di risalire nei sondaggi, la mossa è sempre la stessa: drammatizzazione mediatica, provvedimenti d’eccezione che poi durano oltre l’emergenza (Guantanamo, quella vera, è ancora lì, dopo sei anni di presidenza Obama), riforme costituzionali maneggiate come spot. Diceva Thomas Jefferson che i popoli sobri si danno costituzioni per quando saranno ubriachi. Ma né la costituzione statunitense né la Corte suprema hanno impedito agli Stati Uniti di internare oltre centomila americani di origine giapponese durante la seconda guerra mondiale: per non parlare dell’epocale autogoal perpetrato da Bush il Piccolo invadendo l’Iraq, unico cuscinetto fra sunniti e sciiti.
Nel caso della Francia di oggi si parla di una cifra fra diecimila e ventimila sospetti islamisti da internare non alla Cayenna o sull’Isola d’If, magari con la baguette calda al mattino ma senza processo e avvocati, violando quel principio minimo di civiltà giuridica che è l’habeas corpus. Nota Jeremy Waldron in Torture, Terror and Trade-offs (2010), la raccolta dei suoi saggi post-Undici settembre, che il luogo comune per cui si devono bilanciare le esigenze della sicurezza con quelle della libertà ha un lato oscuro. Di fatto la nostra sicurezza, la sicurezza di centinaia di milioni di occidentali, non è aumentata neppure in dosi omeopatiche attentando alla libertà o alla sicurezza degli altri: qualche migliaio di stranieri, o di nostri concittadini, presi in ostaggio delle nostre paure pubbliche o private.
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