La pandemia è rimandata. Sembrava dovesse falcidiare l’Italia, il virus H1N1. Per mesi televisioni e giornali si sono esercitati in fosche, foschissime previsioni. L’influenza A farà lo stesso sconquasso sanitario dell’aviaria (che però da noi tanto sconquasso non ha fatto): così si diceva e si scriveva, forti del consenso popolare. Per la verità, alcuni (pochi) coraggiosi avanzavano dubbi. La mortalità in Messico, tentavano di argomentare, è dovuta alla povertà diffusa in quel Paese, più che alla pericolosità del virus. Ma le loro voci erano coperte dal chiasso generale. Tutti (o quasi) eravamo in fiduciosa attesa del diluvio. Ma ora pare che il diluvio non ci sarà, perlomeno non a breve termine. Ne siamo soddisfatti, e confidiamo nella buona sorte. Meno soddisfatti siamo invece di quel che si sta scoprendo del contratto stipulato dal Ministero della Salute con la Novartis.
Sarebbero dovuti essere più di 20 milioni i vaccini consegnati dalla casa farmaceutica al sistema sanitario nazionale, per un totale di 184 milioni di euro. O almeno sembra. Il motivo di questa vaghezza sta nelle clausole sottoscritte il 21 agosto 2009. Le parti, si legge infatti all’articolo 10.1 del contratto, «si impegnano a mantenere assoluto riserbo sulle informazioni riservate». Non curiamoci della forma contorta: se le informazioni sono riservate, su di esse che cosa si deve mantenere, se non riserbo? Curiamoci invece della sostanza. E la sostanza è che una transazione commerciale che ci riguarda tutti – dal punto di vista economico e da quello sanitario – sarebbe dovuta restare segreta (l’articolo 10.2 stabilisce che tra le informazioni “riservate” ci siano anche l’esistenza del contratto e le disposizioni in esso contenute). Se così non è stato, o non è stato del tutto, lo si deve alla Corte dei conti, e alla sua deliberazione del 21 settembre.
È rimasta pressoché ignorata, quella deliberazione. Ma da qualche giorno è stata riportata “alla luce” dell’opinione pubblica da una notizia curiosa. Dei 10 milioni di vaccini consegnati, solo 827.000 sono stati utilizzati. Fin qui poco male. La pandemia non c’è stata, in ogni caso. Meno allegra è l’altra parte della notizia: per i restanti 10 milioni e più la Novartis dovrà essere comunque pagata. Nel contratto non c’è alcuna clausola di recessione da parte del ministero. Non solo non c’è per “inutilità sopravvenuta” o per “dimostrata inefficacia”, ma non c’è per nessun altro caso. Anzi, se il vaccino non fosse stato consegnato in tempo, comunque la Novartis avrebbe avuto il pattuito, senza alcuna penalità. E se il suo prodotto avesse avuto effetti collaterali? Se avesse fatto danni alla nostra salute, per capirci? Anche in quel caso la Novartis sarebbe stata tutelata, a meno che non si fosse trattato di difetti di fabbricazione a essa imputabili. Ma non tirate sospiri di sollievo: all’articolo 4.4 si stabilisce che, per decidere che di difetti di fabbricazione si tratti, è necessario l’accordo della Novartis. In mancanza dell’accordo, responsabile nei nostri confronti è lo Stato, ossia noi stessi, i danneggiati. Insomma, il ministero ha sottoscritto – in segreto, giusto per non dar nell’occhio – qualcosa che ricorda il comma 22 del vecchio, famoso film di Mike Nichols («Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo»).
Naturalmente, sappiamo bene che tutto questo non avrà conseguenze, né politiche né giudiziarie. Alla fine, di che cosa si tratta? Di 3 euro per ognuno di noi, a parte l’eleganza con cui il nostro diritto alla trasparenza degli atti politici e amministrativi viene eluso e beffato. E allora tanto vale attendere la prossima estate, per una nuova puntata di Pandemie e segreti, telenovela politico-giornalistica di sicura audience.
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