Un cambio di rotta inaspettato. Le elezioni canadesi di lunedì scorso hanno dato una maggioranza schiacciante al Partito liberale. Si è trattato, per molti versi, di una sorpresa. Fino a un mese fa, i sondaggi davano terzo il partito del nuovo premier Justin Trudeau, dietro ai socialdemocratici dell’Ndp e ai conservatori dell’ormai ex premier Harper. E anche solo alla vigilia i conservatori continuavano a sperare in un colpo gobbo, approfittando delle divisioni nell’opposizione.
Cosa che in effetti era già successa quattro anni fa. Il Canada vota con un sistema strettamente maggioritario, e con Ndp e liberali che si erano litigati il voto di centrosinistra ai conservatori era bastato mobilitare il proprio elettorato per vincere, aggiudicandosi moltissimi collegi marginali per una manciata di voti. La situazione rischiava di ripetersi anche questa volta, con liberali e Ndp incapaci di raggiungere anche un semplice accordo di desistenza.
In realtà, però, la diffusissima opposizione al governo di Harper è andata al di là della fedeltà di partito. Il governo conservatore aveva dato una virata a destra molto forte, trasformando quella che era una volta conosciuta come la Svezia d’America in uno Stato neo-con e suscitando un massiccio malcontento. Harper, per nove lunghi anni, ha implementato politiche fortemente ideologiche e partisan, a solo favore del proprio elettorato. Cancellando d’un tratto il multilateralismo e la centralità delle istituzioni internazionali tanto care alla tradizione canadese, i conservatori hanno preso posizioni oltranziste sulla lotta al terrorismo, sulla politica in Medioriente e sul climate change, con il rifiuto di riconoscere ciò che tanto la comunità scientifica quanto quella internazionale indicavano. A livello domestico, la stessa ricerca scientifica era stata messa sotto controllo con azioni retrograde e ideologiche – si pensi alla quasi abolizione dell’ultimo censo, o al vaglio politico dei grant di ricerca. Anche le organizzazioni non governative erano state messe a tacere, bloccando i fondi di chi criticava il governo.
Un tale estremismo aveva disgustato molti, tanto che solo pochi mesi fa anche la roccaforte conservatrice dell’Alberta era caduta nelle mani dell’Ndp. I socialdemocratici, da sempre il terzo partito del Canada, che quattro anni fa avevano visto una crescita esponenziale e avevano superato i liberali, sembravano avviati a una possibile – e quasi rivoluzionaria – vittoria. Ma sono stati incapaci di costruire sui loro iniziali successi. Da una parte sono stati puniti per la posizione presa sulla vincenda del niqab, il velo islamico che Harper ha usato per fomentare una campagna islamofobica in salsa elettorale. L’Ndp si è detto favorevole al diritto delle donne di vestire il velo, cosa però molto poco popolare tra l’elettorato canadese e soprattutto tra quello del Quebec, provincia storicamente a sinistra sui temi economici ma conservatrice su quelli etico-religiosi. Nel frattempo, una campagna elettorale all’insegna del centrismo ha scontentato molti elettori, vogliosi di un vero cambiamento di rotta dopo il decennio di destra.
I liberali hanno così scavalcato l’Ndp a sinistra, sfruttato il momento di difficoltà dei socialdemocratici e, proprio al fotofinish, si sono accreditati come la principale alternativa ad Harper. In un tale clima, nel giorno del voto, sono stati in moltissimi a scegliere il voto strategico, all’insegna dello slogan Anyone but Haper, chiunque ma non Harper. Una sorta di voto utile che ha premiato in maniera sbalorditiva i liberali.
Ora si tratterà di vedere quanto e cosa cambierà con Trudeau. Su alcuni temi, soprattutto di politica estera, ci si aspetta una virata piuttosto netta. I liberali hanno già annunciato che ritireranno i caccia candesi da Siria e Iraq; e sembrano anche intenzionati a disdire l’acquisto dei famigerati F35. Alla conferenza sul clima in programma a Parigi il nuovo governo dovrebbe presentarsi con una agenda sicuramente più ambiziosa del precedente. In economia, Trudeau ha promesso un piano di investimenti infrastrutturali per combattere la recessione in cui è scivolata l’economia, finanziando la spesa in deficit e rifiutando la logica dell’austerity. Problemi strutturali, come la dipendenza dall’estrazione delle materie prime, non sembrano per ora trovare risposte nelle proposte dei liberali, ma sicuramente il Canada si avvia a tornare su quella linea liberale e progressista che contraddistingue la sua tradizione politica.
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