Che cosa può aver indotto l’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl a invitare martedì 19 aprile il premier ungherese Victor Orban nella sua bella residenza sulle colline del Palatinato? Una semplice visita di cortesia a un vecchio amico? Questa è la versione che entrambe hanno voluto dare ufficialmente. Ma se voleva che la cosa passasse come un incontro privato tra due conservatori, sia pure appartenenti a generazioni diverse, senza un particolare significato politico, Kohl non avrebbe pubblicato due giorni prima, sull’autorevole quotidiano «Der Tagesspiegel», la sintesi della prefazione all’edizione ungherese, appena uscita, del suo libro Aus Sorge um Europa, pubblicato dalla Droemer Verlag a Monaco nel 2014, dove Orban viene citato e lodato per il suo «europeismo». Di fatto, il significato politico c’è stato e quindi è lecito chiedersi che cosa abbia indotto Kohl a mettere in scena la legittimazione del discusso leader ungherese. Peraltro la stampa tedesca rileva che l’incontro non è durato più di un’ora. Eppure muoversi da Budapest per una breve visita di cortesia appare quantomeno curioso.
Oltre che il massimo artefice della riunificazione, Kohl è giustamente considerato un appassionato sostenitore dell’idea europea. Il suo libro era un vigoroso appello, in cui esprimeva con toni allarmati e quasi enfatici una seria preoccupazione sui rischi che minacciavano (e minacciano tuttora) l’Unione. E Orban, in un articolo pubblicato nientemeno che sulla prestigiosa «Frankfurter Allgemeine Zeitung» il 16 novembre 2014, lo aveva molto apprezzato. Tuttavia Victor Orban appare oggi come il campione del neo-nazionalismo populista che sta contagiando i Paesi dell’Est, e non solo; come colui che ha innalzato barriere di filo spinato ai confini del proprio Paese, che ha inferto colpi durissimi alla libertà di stampa e ha compromesso seriamente l’indipendenza della magistratura. Bruxelles ha aperto nei confronti dell’Ungheria numerosi procedimenti per violazione delle norme dei trattati europei e Orban non perde occasione per scagliarsi contro gli eurocrati.
Che cosa, dunque, hanno in comune due personaggi apparentemente così lontani? Nel breve periodo entrambi si contrappongono alla politica dell’accoglienza nei confronti dei profughi dell’attuale cancelliera, anche se le ragioni della contrapposizione non sono esattamente le stesse. Kohl critica la Merkel per aver agito senza consultare i partner e senza aver concordato con loro una linea comune. Orban si oppone alla ripartizione dei richiedenti asilo tra i 28 Paesi dell’Unione e fa blocco con Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. Che Kohl sia vicino a quella parte della Csu-Cdu fortemente critica della politica della Merkel non è un mistero. Così come non ci sono dubbi sul fatto che Orban sia interprete di un disagio che serpeggia nei Paesi dell’Est europeo che dall’Europa si aspettano più sicurezza che democrazia.
Ma tra i due c’è qualcosa di più di una convergenza contingente anti-Merkel. In comune hanno una concezione «nazionalista» che può senza troppi ostacoli spostarsi dalle «nazioni» all’Europa, anch’essa intensa come «nazione». È, in fondo, una versione attuale dell’Europa delle patrie (leggi, nazioni) del generale De Gaulle. Kohl non adotta il linguaggio rozzo degli attivisti di Pegida (i «patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente»), ma sottolinea con forza le radici ebraico-cristiane della cultura europea. Un tedesco responsabile, e oltretutto renano, non può parlare troppo esplicitamente, come fa Orban, di primato della nazione, ma entrambi riescono a far convivere un nazionalismo pan-germanico l’uno e ungarico l’altro con una sorta di nazionalismo europeo. Orban parla esplicitamente di Schengen2, propone una difesa esterna dei confini sia di terra sia di mare, presidiata da una agenzia tipo Frontex, rafforzata da un corpo europeo di guardie di frontiera, in assenza della quale non resta che ripristinare i vecchi confini nazionali col filospinato. Tra nazionalismo europeo e nazionalismi nazionali ci può essere più continuità di quanto si possa pensare a prima vista. In fondo, anche da noi il nazionalismo padano non ha avuto molte difficoltà a trasformarsi in nazionalismo italiano anti-europeo. Il nazionalismo è una categoria dello spirito che risponde al bisogno di chiudere qualcuno fuori della porta per poter affermare l’esistenza di un «noi», contrapposto a un «loro».
Può piacere o non piacere (a me non piace), ma tanto Kohl quanto Orban additano un problema reale: i confini possono essere chiusi, semi-chiusi, semi-aperti o aperti, ma non possono non essere in qualche modo presidiati per gestire i passaggi in entrata e in uscita. Senza confini, anche l’identità diventa evanescente. È per questo che la sfida delle migrazioni è per l’Europa una questione cruciale. Più della crisi dell’euro, mette infatti in discussione la sua stessa esistenza come entità definita nello spazio geo-politico.
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