Fanno quasi commuovere le immagini che accompagnano le parole di Edmondo Berselli lette da Gioele Dix a “Quel gran pezzo dell'Italia”. Non solo perché, come opportunamente recita il titolo della trasmissione, “Era già tutto scritto ma ci eravamo distratti”. Ma anche perché è come se tutto fosse accaduto invano. Come se (alla fine e come Berselli aveva al solito pronosticato), nel convincerci senza sforzi di essere circondati da molti, troppi soliti stronzi, non ci fossimo accorti che lì in mezzo c'eravamo anche noi.

Così, a più di trent'anni dalla fine del sogno di Berlinguer e a venti dalla discesa in campo del grande corruttore, quando capita di vedere i filmati di quei tempi si rischia di ritrovarsi inguaiati in inesauribili nostalgie. Cresce il numero di coloro che rimpiangono, loro sì, l'avevano capito subito, la vecchia, cara Prima Repubblica. Tutta in blocco, inclusi i dibattiti televisivi con sigaretta accesa e la presenza dell'immancabile rappresentate in quota socialdemocratica. C'è chi rimpiange i radicali di una volta e la loro capacità di portare avanti le battaglie giuste (e naturalmente c'è chi rimpiange sopra di tutto il sapere “portare avanti”, se non altro un discorso). E insieme chi non ha dimenticato tanto facilmente il fascino senza tempo del maglioncino bianco a collo alto indossato da un sempre più arrabbiato ma ancora giovane Pannella. Chi si ostina a non considerare affatto italiano un Giro d'Italia che parte sotto un vento gelido e un cielo grigio autunnale da Belfast, Irlanda. Manco a dirlo, c'è poi chi si è convinto, sempre prima di tutti gli altri, e dai medesimi vent'anni, forse trenta, che il calcio italiano non merita ormai più di uno sguardo distratto, naturalmente in televisione. E che dopo Riva, Rivera e Mazzola tutto è finito per sempre.

Per non dire di chi, testardo, rammenta con rammarico invocandone la santa resurrezione l'uso corretto dei piuttosto che, ovvero degli ovvero.

C'è però sempre la realtà a ridestarci dalle nostre facili nostalgie di un passato che si credeva irrecuperabile, sepolto, finito. Grazie dunque ai politici corrotti, ex ministri e non, ai potenti impenitenti e, ovviamente, ai gregari, anche se ormai non più compagni e comunisti. Davvero tutto è come prima, ne conveniamo. Davvero nulla è cambiato. Che sarà mai un Expo?

 

p.s.: Fatta la doverosa e irrinunciabile premessa secondo cui anche le indagini su Expo 2015, come le indagini tutte, dovranno fare il loro corso, occorrerebbe però ricordare, almeno di sfuggita, che l'onorevole Scajola (il sindaco più giovane d'Italia, a Imperia correva l'anno 1982) non è tanto e solo l'uomo della casa a sua insaputa, accusa peraltro dal quale è uscito scagionato. Ma è anche il ministro dell'Interno nella Genova del G8. Ed è lo stesso uomo dello Stato secondo cui Marco Biagi, assassinato a Bologna la sera del 19 marzo 2002, “era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza” (“Corriere della Sera”, 30.6.2002, p. 3).

Occorrerebbe poi chiedersi che penserà ora dello scandalo Expo, subito ribattezzato senza grande originalità “nuova Tangentopoli”, l'attuale presidente della regione Lombardia Roberto Maroni. Lo stesso che, ministro dell'Interno, dunque altro uomo di punta dello Stato nostrum, negò con fermezza davanti al popolo tutto le accuse infamanti di Roberto Saviano che, a proposito di Expo 2015, aveva osato palesare qualche preoccupazione fondata su presunte, possibili collusioni tra uomini delle istituzioni e malavita organizzata.

Così, solo per dovere di cronaca. Naturalmente per quel che può contare.