Un entusiasmo di stampo patriottico accompagna in queste ore il lavoro preparatorio per la nascita dell’esecutivo di Mario Monti. Mentre l’abbandono della prima scena da parte di Silvio Berlusconi (ma come si è visto non del palcoscenico) viene accompagnato da manifestazioni di giubilo e da grida liberatorie. Né, tra gli sport più praticati nelle ultime ore, manca il lancio delle monetine «stile Raphael». Non più lire ma, secondo una sorta di pena del contrappasso, centesimi di euro. Così, da giorni, una presunta svolta dai tratti epocali occupa le prime pagine di tutti i giornali del mondo.
C’è sicuramente un grande bisogno di entusiasmo e di nuova fiducia nelle possibilità reali del nostro Paese. Tuttavia, conviene non chiedere troppo a una fase della vita politica italiana che, necessariamente, va considerata a tempo determinato. Tutti o quasi, non solo i mercati mondiali e le istituzioni europee, chiedono al nuovo governo che sta nascendo in queste ore di dare risposte rapide e concrete all’emergenza. Offrendo soluzioni realistiche e dalle conseguenze immediate e accollandosene in pieno la responsabilità. I prossimi mesi diranno quali tra gli attori politici che, in nome dell’unità nazionale e del bene del Paese, si assumeranno il rischio di sostenere in Parlamento le misure messe a punto dal nuovo governo pagheranno il prezzo più alto in termini di consenso. Fin da ora, però, emergono atteggiamenti ben distinti da parte delle diverse componenti del Parlamento. In particolare, stiamo assistendo, e presumibilmente assisteremo ancora, a un pericoloso esercizio di distinguo da parte del principale partito di centrodestra. Con un paradosso molto italiano: che un governo (più tecnico che politico: di emergenza, a termine, ma pur sempre un governo della Repubblica vincolato alla fiducia del Parlamento) che assumerà decisioni più di destra che di sinistra, sarà sostenuto più dalla sinistra che dalla destra. Perché ancora una volta sarà la sinistra ad assumersi la responsabilità dei “sacrifici”, sfidando l’impopolarità.
Eppure, il dramma sembrerebbe giunto a tal punto da dover imporre senso di responsabilità anche nella coscienze più incoscienti, più prone alla dissennata irresponsabilità che ne ha guidato gli atti e le scelte politiche dell’ultimo, non breve periodo della storia italiana.
Tuttavia, nonostante la gravità della situazione, il momento della responsabilità diffusa e dell’unità nazionale non sembra ancora giunto. Né, a essere sinceri, è possibile prevedere quando mai potrà arrivare. Per riprendere lo slogan con cui tante donne italiane hanno fatto sentire la loro voce: se non ora, quando?
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