In politica è meglio non affezionarsi troppo all’idea che non c’è alternativa. Quante volte abbiamo letto commenti o editoriali che ci spiegavano che Silvio Berlusconi era l’unico in grado di unire la destra, di vincere le elezioni o di guidare il Paese?
A manifestare questa opinione non erano solo sostenitori del capo del Pdl. Al contrario, persino alcuni tra i più fieri oppositori di Berlusconi – e diversi osservatori imparziali – hanno, in perfetta buona fede, accreditato in passato l’idea che non ci fosse alternativa al suo governo.
Sappiamo com’è andata a finire: il panico da spread ha cambiato le carte in tavola aprendo la strada all’iniziativa del presidente della Repubblica che ha accompagnato la nascita di una diversa maggioranza e di un nuovo governo. Credo che questo esempio, tra i tanti che si potrebbero menzionare, dovrebbe spingerci a riflettere con attenzione prima di proiettare indefinitamente nel futuro la posizione d’indiscusso primato che l’attuale presidente del Consiglio ha nella politica italiana.
Non solo perché, com’è evidente, alcuni tra gli scenari peggiori che potrebbero emergere in seguito a una nuova drammatica accelerazione della crisi finanziaria vedrebbero un leader politico con le caratteristiche culturali e personali di Mario Monti in seria difficoltà nel tenere sotto controllo partiti in via di dissoluzione e un elettorato in fuga dalle formazioni presenti in Parlamento, ma anche perché è difficile immaginare che l’attuale maggioranza possa stabilizzarsi fino al punto da por mano a un programma di riforme di lungo periodo in concordia e armonia.
Per motivazioni diverse sia nel Pdl sia nel Pd ci sono ambienti che manifestano già una certa sofferenza e potrebbero, presto o tardi, dissociarsi dalla scelta di sostenere un governo Monti nella buona e nella cattiva sorte. Quindi, anche se è vero che non c’è alternativa all’attuale governo, e che esso verosimilmente rimarrà in carica fino alla conclusione della legislatura, ciò non comporta che sia insensato fare ipotesi su quali potrebbero essere le alternative dopo le elezioni del 2013.
Una prima ipotesi è quella, ventilata da più parti, di un nuovo governo Monti. Stavolta si tratterebbe però di un governo “politico” che, facendo perno su una coalizione di centro-destra, dovrebbe portare a termine un programma di riforme – “l’agenda Monti” – il cui scopo sarebbe rilanciare la competitività del Paese dopo averne messo in sicurezza il bilancio pubblico. Allo stato attuale questa è l’ipotesi che molti osservatori danno per più probabile, anche perché «non c’è alternativa». Difficile contraddirli. Credo che nessuno in questo momento sarebbe in grado di indicare un candidato alla presidenza del Consiglio che potrebbe godere di un consenso ampio quanto quello che ha Monti, che, alle circostanze attuali, viene considerato il miglior capo di governo anche da chi non condivide – in tutto o in parte – l’operato dell’esecutivo che presiede.
Una seconda ipotesi è invece quella della vittoria elettorale di uno schieramento di centro-sinistra guidato dal Pd che, senza mettere in discussione l’obiettivo di fondo del risanamento del bilancio pubblico, abbia però un approccio più critico nei confronti di quelle che John Quiggin in Zombie Economics chiama le «idee morte» che ancora dominano le politiche economiche di diversi Paesi occidentali e non solo. Fare previsioni in politica è sempre un azzardo, tuttavia credo che la seconda ipotesi sia meno irrealistica di quanto potrebbe apparire sulla base dell’assunto che «non c’è alternativa» a Monti anche dopo le elezioni. Un Pd che si metta sulla scia dei socialisti europei e di liberal come Joseph Stiglitz potrebbe recuperare consenso tra i ceti medi, ponendo con forza la questione dell’equità dei termini della cooperazione sociale.
C’è infine una terza ipotesi, che menziono per completezza, ma che darei come la meno probabile. Quella che dalle elezioni esca una maggioranza che intenda portare avanti un programma ispirato dal manifesto firmato da Oscar Giannino e da diversi intellettuali libertari per «arrestare il declino» del Paese. Una maggioranza del genere potrebbe persino essere guidata dallo stesso Mario Monti, se accettasse di sposare una piattaforma simile a quella delineata da Luigi Zingales nel suo Capitalism for the People, che piace a molti repubblicani negli Stati Uniti.
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