Il «dramma» spagnolo. Re Filippo VI di Spagna ha annunciato nuove elezioni per il 26 giugno 2016, avendo constatato che nei quattro mesi trascorsi dalle ultime elezioni il nuovo Parlamento eletto, e in particolare i rappresentanti dei quattro maggiori partiti, non sono stati in grado di dar vita a un governo stabile.

Da decenni la vita politica spagnola, come del resto i regimi parlamentari dell'Europa occidentale, è stata dominata da due grandi partiti, il conservatore Partido Popular (Pp) e il Psoe, socialdemocratico, che dalla caduta del regime franchista si sono alternati nel controllo del Parlamento e hanno dato vita di quando in quando a governi di coalizione. Come nella maggioranza dei casi, gli altri soggetti politici sono rimasti spettatori pressoché ininfluenti riuscendo al più a strappare alcune concessioni confacenti ai rispettivi obiettivi politici.

Tutto è cambiato con le ultime elezioni. Da un movimento di opposizione nato nelle strade cittadine, gli Indignados, è nato un nuovo partito, Podemos, che ha conquistato un considerevole numero di seggi in Parlamento sulla base di un programma politico anti-austerità. Il principale bersaglio di questo programma è stato il Pp, il partito al governo, e il suo leader Mariano Rajoy, inflessibile sostenitore del programma neoliberista voluto dai creditori dello stato spagnolo.

Con un numero minore ma comunque significativo di deputati si è affermato inoltre un altro nuovo partito, denominato Ciudadanos, che pur avendo svolto anch’esso la sua campagna elettorale in opposizione al Pp ha proposto all’elettorato un programma centrista imperniato sulla lotta alla corruzione.

Inizialmente il re ha conferito l’incarico di formare un nuovo governo al Pp in quanto partito di maggioranza relativa (ma con un numero di deputati inferiore rispetto al passato, quando aveva detenuto la maggioranza assoluta). Rajoy però ha dovuto ben presto prendere atto che nessuno degli altri tre partiti era disposto a partecipare a un governo con il Pp e ha informato il re di non essere in grado di formare un governo che disponesse di una maggioranza parlamentare.

Il successivo incarico di formare il nuovo governo è stato allora conferito al Psoe, in quanto secondo partito per numero di deputati in Parlamento (anch’essi però in diminuzione rispetto al passato). Il leader del Psoe, Pedro Sánchez, ha provato a costituire un governo di coalizione tra Psoe, Podemos e Ciudadanos i cui voti combinati gli avrebbero assicurato la maggioranza. Il leader socialista ha ottenuto il consenso dei Ciudadanos, ma Podemos si è dichiarata indisponibile a entrare a far parte della proposta di coalizione.

Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha posto tre condizioni per l’ingresso del suo partito in un governo a guida Psoe. Innanzitutto la propria nomina a vice primo-ministro e l’assegnazione di quattro dicasteri chiave a deputati di Podemos, in secondo luogo il sostegno a un referendum per l’indipendenza della Catalogna, e infine l’esclusione dei Ciudadanos sulla base del fatto che questi ultimi erano decisamente contrari a un simile referendum condividendo al riguardo la linea dura del Pp.

Il Psoe ha respinto tutte e tre le condizioni, sia perché le sue posizioni sono oggettivamente più vicine a quelle dei Ciudadanos, sia perché le richieste di Podemos apparivano come una mossa tesa a scavalcare lo stesso partito socialista come secondo, se non addirittura come primo, partito in Parlamento. Di fronte al fermo «no» del Psoe, a Podemos non è rimasto che decidere se votare un appoggio esterno al governo del Psoe o votare contro. Il vero interrogativo era se Podemos, come movimento, avrebbe mirato a ottenere il potere con manovre parlamentari oppure attraverso le manifestazioni di piazza.

Benché favorevole alla prima opzione, Iglesias era consapevole di rischiare di essere messo in minoranza all'interno del suo stesso partito qualora avesse utilizzato la maggioranza che controllava tra i rappresentanti eletti di Podemos per dare sostegno esterno a un governo a guida socialista. Ha pertanto rimesso la questione agli iscritti di Podemos con un referendum interno dall’esito inequivocabile, per effetto del quale Iglesias ha annunciato che Podemos avrebbe votato contro la proposta del Psoe nel secondo passaggio parlamentare. Il re, che aveva fissato al 2 maggio la scadenza massima dell’intero processo, ha indetto di conseguenza nuove elezioni.

A latere si sono sviluppati altri tre dibattiti politici. Uno riguarda Izquierda Unida (Iu) e i suoi rapporti con Podemos. Iu è una coalizione di partiti marxisti e verdi già attivi nel movimento Indignados, al cui interno si contrapponevano ai gruppi più populisti che in seguito avrebbero dato vita a Podemos. A livello locale Iu ha già dato prova di essere disponibile a costituire coalizioni con il Psoe. La tendenza emergente al momento è però un’alleanza con Podemos nelle prossime elezioni parlamentari, cosa che dovrebbe ulteriormente rafforzare le possibilità del movimento.

Il secondo è un dibattito tutto interno alla Catalogna. Nelle elezioni regionali sono emerse due principali coalizioni fautrici del referendum per l’indipendenza. Una è la centrista Junts pel Si (Uniti per il Sì), guidata dal presidente regionale uscente Artur Mas, l’altra una coalizione di sinistra denominata Candidatura d'Unitat Popular (Cup). La condizione posta dalla Cup per il suo sostegno a Junts nel parlamento regionale era che Artur Mas si facesse da parte, e all’avverarsi di questa condizione è stato individuato un candidato di compromesso nella persona di un esponente poco noto del movimento, Carlos Puigdemont, appartenente a uno dei partiti di Junts, il quale ha promesso di indire il referendum per l’indipendenza entro diciotto mesi, in tal modo preannunciando uno scontro finale con il governo spagnolo, o almeno con il Pp e il Psoe, per i quali il referendum sarebbe illegale.

Il terzo sviluppo politico, casualmente coincidente con i precedenti, riguarda i Paesi Baschi. Da decenni, a fianco dell’Eta che perseguiva l’obiettivo dell’indipendenza per via armata, è esistito un partito che si prefiggeva di operare nella legalità ma che veniva regolarmente messo fuorilegge dal governo spagnolo. Proprio in questi mesi il leader di una di queste formazioni politiche, Arnaldo Otegi, è stato rilasciato dopo aver finito di scontare la pena cui era stato condannato. Leader del Sortu, ultima incarnazione di un partito indipendentista legale, Otegi è stato accolto da eroe nei Paesi Baschi, nella costernazione del governo spagnolo.

Otegi ha lasciato intendere che l'Eta accetterebbe di porre fine alla lotta armata qualora il governo desse segno di poter accettare un governo autonomo basco, sottolineando con una certa amarezza che il Pp e Rajoy sono stati finora indisponibili a qualsiasi genere di concessione. Naturalmente, agli occhi del Pp, l’autonomia basca è persino peggiore dell’autonomia della Catalogna. E delle concessioni fatte in questo momento potrebbero alimentare in Catalogna i consensi attorno al progetto di referendum sull'indipendenza. Questi sviluppi hanno creato ulteriori imbarazzi per il Psoe.

Cosa possiamo dunque concluderne? Tre cose, forse. Per prima cosa dobbiamo interrogarci sulle reali possibilità di successo dei movimenti populisti anti-austerità. Podemos per molti versi si è ispirata al modello di Syriza in Grecia, e le difficoltà che quest’ultima sta incontrando hanno sollevato perplessità in Spagna e altrove sui risultati che un movimento del genere può conseguire per via parlamentare.

Il secondo interrogativo è se sia davvero possibile per gli Stati resistere alle istanze di decentramento provenienti dai movimenti etno-nazionalisti. Ad esempio oggi in Gran Bretagna, dove si discute della possibile uscita del paese dall’Unione Europea, non sfuggono le conseguenze che la cosiddetta Brexit avrebbe sul movimento scozzese che si prefigge di ottenere un ulteriore decentramento e persino l’indipendenza.

E in terzo luogo, i governi hanno forse la minima possibilità di mantenere una politica anti-austerità nel medio periodo, a fronte delle pressioni avvertibili in tutto il mondo provocate dalla riduzione delle entrate statali in termini reali?

Per l’Europa e per il mondo la Spagna, in termini economici, è assai più importante della Grecia. Gli occhi di tutti resteranno puntati sul dramma spagnolo per trarre da esso ogni utile indicazione e insegnamento.

 

[Copyright © 2016 Immanuel Wallerstein, used by permission of Agence Global. Traduzione di Giovanni Arganese]