Qualcosa si muove tra i democratici verso le elezioni di midterm. In questi giorni forse qualcuno avrà sentito parlare di Alexandria Ocasio-Cortez, 28 anni, barista e attivista per Bernie Sanders durante le primarie del 2016. La giovane aderente ai Democratic socialists of America ha vinto le primarie del Partito democratico nel suo distretto elettorale di New York, quello che contiene il Bronx e Queens e sarà candidata alla Camera dei rappresentanti alle elezioni di mezzo termine del prossimo novembre.

La notizia non è che un democratico sia candidato nel Bronx e abbia buone possibilità di vincere, ma il fatto che Ocasio-Cortez abbia battuto, e di molto, Joseph Crowley, numero 4 dei democratici alla Camera, figura che pareva destinata a prendere il posto di Nancy Pelosi già nel 2018 (o al più tardi nel 2020). Non andrà così per Crowley come non andò così nel 2014 al repubblicano Eric Cantor, personaggio in ascesa nella politica Usa, oggi privato cittadino. Cantor venne spazzato via da un’ala più intransigente del suo partito. In qualche modo, si può dire lo stesso per Crowley.

Che notizia è questa per i democratici? È in corso una rivolta vincente dell’ala sinistra? C’è il rischio di una spaccatura e di una situazione simile a quella venutasi a determinare nel Grand Ol’ Party (come i repubblicani amano chiamare se stessi) a partire dalla rivolta anti-establishment del Tea Party? Forse. O forse no: il trionfo della giovane militante ispanica nei due boroughs di New York è frutto di molte cose assieme. E la risposta di Crowley, che al party che doveva essere per la sua vittoria è uscito sul palco, chitarra in mano e ha intonato “Born to Run” di Bruce Springsteen dedicandola a Ocasio-Cortez, è intanto un bel segnale per l’unità del partito. “Born to Run” si traduce “nato per correre”, ma in gergo politico significa “nato per fare campagna elettorale, per candidarsi”.

Le ragioni per cui il veterano di New York ha perso sono molte. La prima, forse la più importante, è il suo legame con i poteri forti della città, che tradotto significa Wall Street. In città la finanza spende per i democratici, che in città comandano. La political machine democratica incarnata da vecchie figure potenti con legami in alto e portatori di voti in basso (la famiglia Cuomo, ad esempio, ma anche qualche vecchio volpone afroamericana) ha legami stretti con Wall Street. Non sempre rose e fiori, ma certo non un posizionamento politico anti-finanza, come quello incarnato da Occupy Wall Street o dallo stesso Bernie. Bene, nell’elenco dei finanziatori della campagna di Crowley ci sono molti nomi che contano della finanza e delle corporation americane che la sinistra considera nemiche. Crowley ha raccolto circa 3 milioni di finanziamenti, la sua avversaria circa un decimo, il 70% dei quali attraverso donazioni sotto i 200 dollari. I conti di Crowley indicano invece che gli assegni sotto i 200 dollari donati per sostenerlo sono lo 0,78% del totale. Se a votarti sono dei ceti popolari e se contro di te c’è qualcuno che segnala questi numeri, questo è un problema. Un problema che non si ha se si corre contro un repubblicano, che in genere raccoglie fondi da donatori abbienti anche lui.

La seconda ragione che spiega la sconfitta è la piattaforma di Ocasio-Cortez (che vedete riassunta nel volantino qui a fianco): semplice, radicale, adatta al suo bacino elettorale. Due cose di Welfare roosveltiano o europeo come l’assenza per malattia pagata e la sanità pubblica, un piano per garantire il lavoro, non il reddito, a tutti (in materia c’è un dibattito e ci sono numeri elaborati da economisti nella sinistra Usa). E poi la casa come diritto inalienabile, un tema cruciale per chiunque non sia milionario e viva a New York City, la riforma dell’immigrazione e quella del sistema giudiziario, un punto per gli ispanici e uno per gli afroamericani. Infine punti tanto liberal quanto vaghi come “economia di pace” e “piano di investimenti per infrastrutture ambientalmente compatibili”. Riassumendo: un programma che potremmo tranquillamente definire socialdemocratico radicale, capace di parlare sia ai lavoratori bianchi in difficoltà, che ai giovani, che alle minoranze. Un po’ populista anche. Ma del resto Crowley ha definito “fascista” l’Ice, l’agenzia che controlla l’immigrazione e le dogane e correva con un programma piuttosto radicali anche lui. Ma aveva la macchia dell’amicizia dei grandi donatori, che rende poco credibili certe proposte.

Terzo punto che può spiegare la sconfitta di Crowley è la composizione del distretto elettorale dove si votava. Qui gli ispanici sono il 46% della popolazione, i neri l’11%, gli asiatici il 16%. Un distretto elettorale che più misto non si può, dove i bianchi sono la maggioranza tra gli anziani – qui erano i quartieri di irlandesi e italiani dei film che tutti conosciamo – e tra i bambini è in crescita la categoria misto. Crowley è il prodotto di una politica locale dell’era precedente e oggi suonava un po’ come il bianco venuto da fuori a farsi eleggere dalle minoranze. Clintoniano in senso negativo.

Torniamo alla domanda: cosa ci dice questa sfida locale dello stato del Partito democratico? A oggi la maggior parte delle primarie nelle quali uno sfidante sandersiano o simile correva contro un membro della vecchia guardia del partito non hanno regalato necessariamente sorprese: in distretti più a sinistra e giovani ha vinto il candidato di sinistra e viceversa. Tranne qualche caso, chi ha vinto le primarie sarà anche, plausibilmente, in grado di vincere la sfida contro i repubblicani. La vera grande novità di questa tornata, infatti, non è tanto e solo lo spostamento a sinistra, quanto la diversificazione dell’offerta. Sia in termini di posizionamento e contenuti che in termini di facce: più donne e più minoranze che non corrono necessariamente come membri di una minoranza e idee che oggi appaiono radicali ma che, in fondo, provano a dare risposte ambiziose a domande difficili del nostro tempo – automazione, diseguaglianze, metropoli globalizzate dove i poveri lavorano, ma troppo care per viverci. Del resto, non sono forse radicali e ambiziose le riforme fiscali volute da Trump e dai repubblicani? O la ipotesi di Flat Tax in Italia?

Quella che si configura è una riedizione potenziale della coalizione obamiana ma con un minore accento sulla appartenenza, forse. Quella coalizione ha perso male nel 2016, perché Clinton, come Crowley, portava con sé un bagaglio poco convincente per le nuove generazioni, le minoranze e i moderati che la detestavano per ragioni legati alla sua presunta ambizione senza limiti. E Alexandria Ocasio-Cortez è una buona rappresentante dell’ala sinistra di questa coalizione: corre in una città di sinistra e non sarebbe adatta a correre nei suburb della Pennsylvania, ma è perfetta per rappresentare il suoi 700mila elettori potenziali a Washington.

La partita vera per l’anima del partito si giocherà nel 2019, quando sulla scorta di buoni risultati – vedremo quanto buoni -– e con la convinzione che chiunque sia in gradi di battere Trump, i candidati alle primarie saranno tanti e l’ala liberal e quella centrista si daranno battaglia come nel 2016. La speranza è che la sinistra, tra due anni, non danneggi se stessa come è così spesso capace di fare.

 

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