Una campagna elettorale ancora lunga e incerta. Un partito alla ricerca di nuovi orizzonti politici e di un nuovo slancio dopo otto anni di presidenza Obama e un partito tremendamente frammentato, il cui establishment non riesce ancora a esprimere una figura in grado di controllarne le spinte più anti-sistema e personalistiche. I risultati delle primarie in New Hampshire confermano le più recenti tendenze e soprattutto i principali problemi dei due partiti americani che il 1° febbraio hanno iniziato la lunga corsa alla Casa Bianca con il tradizionale appuntamento dei caucus dell'Iowa.
Dopo la vittoria di misura in Iowa, al secondo appuntamento nel New Hampshire Hillary Clinton ha perso contro il suo principale e, ad oggi, unico sfidante alla nomination, il senatore del Vermont Bernie Sanders. La sconfitta era stata preannunciata dai sondaggi, ma non con quel distacco così netto, di oltre venti punti percentuali (60% contro il 38%), che ha fatto suonare i primi campanelli d'allarme tra i collaboratori dell'ex segretario di Stato, cui ancora brucia il ricordo dell'inattesa débâcle a vantaggio di Obama nella corsa alla nomination del 2008.
Il New Hampshire, un tempo swing State, oggi Stato in mano ai democratici, ha un elettorato demograficamente omogeneo (il 95% della popolazione è costituito da bianchi) e Bernie Sanders, del vicino Vermont, non ha avuto problemi a surclassare la sfidante con una vittoria schiacciante, guadagnando soprattutto le preferenze nell'elettorato più giovane. Secondo le prime proiezioni fornite da NBC, l'85% degli under 30 lo ha preferito a Hillary Clinton, che è riuscita a prevalere soltanto tra gli over 65, e, dai primi dati offerti dal "New York Times", tra le famiglie con un reddito superiore ai 200 mila dollari. Nemmeno tra le donne è andata benissimo per Hillary, che avrebbe conquistato in New Hampshire solo il 45% delle preferenze dell'elettorato femminile. Già in Iowa, altro Stato a netta prevalenza bianca, Sanders era riuscito a sedurre i giovani conquistando la stessa percentuale di preferenze. Sembra consolidarsi dunque un blocco elettorale molto definito tra i seguaci di Sanders, costituito da giovani, scontenti della classe media, elettori indipendenti e simpatizzanti liberal. Mentre la grande favorita Hillary Clinton è molto popolare tra le minoranze demografiche che in molti Stati costituiscono lo zoccolo duro della base democratica, con percentuali che superano il 50% dei suoi elettori.
Tad Devine, l'esperto consigliere politico che cura la campagna di Bernie Sanders, ha più volte messo in evidenza le difficoltà del candidato a entrare in sintonia con le minoranze. Gli ispanici e gli afro-americani non conoscono Sanders e la sua storia, che fin dai tempi delle sue frequentazioni politiche alla University of Chicago è legata a doppio filo al tema dell'uguaglianza e dei diritti civili per gli esclusi e gli immigrati. Per sperare di competere con Hillary, il senatore dovrà necessariamente trovare il modo di rendere credibile e appetibile anche agli ethnics il messaggio della sua political revolution socialdemocratica. Primo candidato di origine ebraica della storia a vincere in uno degli appuntamenti delle primarie, dovrà cercare di battere la potente macchina organizzativa di Hillary Clinton senza il sostegno di un Super Pac, dopo aver deciso di puntare solo sul sostegno economico dei singoli elettori rinunciando a quello dei super-comitati: “Il governo della nostra grande nazione appartiene a tutti i cittadini, non ai ricchi finanziatori delle campagne elettorali e ai loro super Pac”, ha ribadito dopo il trionfo del 9 febbraio.
La campagna è ancora lunga; Hillary Clinton, dopo la sconfitta in New Hampshire, ha ammesso che c'è ancora molto lavoro da fare, ma guarda con più apprensione ai primi appuntamenti decisivi di inizio marzo dove gli scenari diventeranno più chiari. L'appeal della ex first lady è ancora debole tra l'elettorato giovane e tra i simpatizzanti progressisti e liberal che avevano premiato Barack Obama nella nomination del 2008, costituendone la “coalition” di riferimento.
Ma anche tra i repubblicani la situazione non è ancora chiaramente definita. Donald Trump, con la netta vittoria in New Hampshire (35% delle preferenze), ha ridimensionato l'exploit dell'ultra-conservatore Ted Cruz, che aveva prevalso in Iowa, e di Marco Rubio, astro in ascesa e unico credibile candidato dell'establishment del partito, arrivato addirittura quinto dopo il buon risultato nei primi caucus. Da sedici anni, in New Hampshire, non si assisteva a una vittoria così netta di un repubblicano alle primarie, da quando cioè McCain aveva surclassato George W. Bush. (poi candidato e vincitore delle presidenziali contro Al Gore), con un distacco di sedici punti percentuali.
Trump inizia a crederci, e sta dimostrando di non essere un semplice intrattenitore in grado di stuzzicare gli istinti più oltranzisti e politicamente scorretti della destra repubblicana. In New Hampshire, quasi il 50% dei suoi sostenitori si è detto favorevole a una delle sue idee più contestate, quella sul blocco dell'immigrazione islamica verso gli Stati Uniti. Il secondo classificato, il pragmatico governatore dell'Ohio John Kasich, ha lavorato nell'ombra e a contatto con la gente, prendendo meno della metà delle preferenze di Trump, il 16%, mentre Ted Cruz si è attestato all'11%. Sempre fermo all'11%, il quarto classificato Jeb Bush, un tempo tra i favoriti, è apparso in ripresa dopo il recente crollo dei suoi consensi. Il fratello di George W. ed ex governatore della Florida dalla sua può contare sui generosi fondi del Super Pac Right To Rise, ma potrebbe non bastare. Marco Rubio, invece, ha ammesso di aver perso molta della sua credibilità nel disastroso dibattito che ha preceduto le ultime primarie, dove è apparso in evidente difficoltà tra slogan poco convincenti ripetuti in maniera quasi robotica. Il governatore del New Jersey Chris Christie, invece, sembra già intenzionato all'abbandono prematuro della corsa alla candidatura.
Due terzi dei repubblicani sono ancora scettici su Trump, ma il partito fatica a individuare uno sfidante affidabile in grado di frenarne l'avanzata, che sembra destinata anzi a procedere nei prossimi due appuntamenti di febbraio. Il settantenne magnate newyorchese dovrebbe essere avanti di almeno venti punti percentuali in uno Stato molto radicalizzato e conservatore come il South Carolina, dove si voterà il 20 febbraio. Ted Cruz, per restare sulla scia, avrebbe invece bisogno di conquistare nuove porzioni di elettorato dopo il successo in Iowa in parte legato alla base cristiano-evangelica che lo ha sostenuto.
La nomination presidenziale verrà formalizzata, tra i democratici, nella convention di Philadelphia del 25-28 luglio e, tra i repubblicani, una settimana prima a Cleveland, in Ohio, e probabilmente, solo dopo gli esiti del Super Tuesday di marzo, quando andranno al voto Alabama, Alaska, Arkansas, Colorado, Georgia, Massachusetts, Minnesota, Oklahoma, Tennessee, Texas, Vermont e Virginia, il quadro sarà più nitido.
Nel frattempo, la campagna si sposta a Sud e nell'Ovest e i due appuntamenti dell'ultima settimana di febbraio, in South Carolina e Nevada, potrebbero già costare ai candidati più in crisi i primi ritiri anticipati dalla corsa alla nomination di luglio.
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