Una cashless society suo malgrado. In India, banche e sportelli bancomat continuano a essere affollati con code interminabili, dopo che il primo ministro Narendra Modi – due mesi fa – ha deciso di vietare e ritirare i tradizionali biglietti da 1.000 e da 500 rupie. Obiettivo: frenare denaro nero, corruzione ed evasione fiscale. Soprattutto, ridurre l’economia sommersa indiana, che vale circa il 30% del Pil (500 miliardi di dollari). Forse non pensava di colpire la grande massa della popolazione (che dispone di un reddito giornaliero di appena 100 rupie): ma sta andando proprio così. L’86% del circolante è improvvisamente sparito. È il cash crunch, a causa del quale dapprima i turisti si sono dileguati e chi commercia in oro e diamanti ha protestato; ma da giorni sta colpendo piccoli imprenditori, farmers, bottegai e soprattutto working poors (che nel Paese sono alcune centinaia di milioni). Un cash crunch che ha reso l’India una cashless society. A volte, le code sono sobillate da attivisti del partito del Congresso, oggi all’opposizione, dopo la cocente batosta elettorale inflitta da Modi nel 2014. L’onda populista che fa breccia nelle nostre democrazie ha riportato il primo successo proprio qui, nella più grande democrazia del mondo, aprendo un ciclo anti-élite e anti-establishment che è proseguito con Brexit e l’inatteso trionfo di Trump.
La classe media non fa la fila agli Atm. Tanto meno i più agiati. La gente se n’è accorta. In fila non ci sono né medici né avvocati, né magistrati né si vede l’ombra di alti funzionari dello Stato o della café society indiana. C’è anche chi è costretto a mobilitare tutta la famiglia a turno per stare in coda. È stressante anche per noi stranieri con poche rupie in tasca, costretti entro il tetto di 55 euro settimanali. La stessa ambasciata russa (un Paese tradizionalmente amico) si è lamentata per l’insufficiente disponibilità di rupie per il personale diplomatico.
In fila non ci sono né medici né avvocati, né magistrati né si vede l’ombra di alti funzionari dello Stato o della café society indiana
Mentre il governo Modi sta spingendo l’acceleratore, sostenendo che l’India può diventare in breve tempo e per gran parte una cashless economy grazie alle nuove tecnologie, diversi economisti sono perplessi e ritengono non siano mancati né mancheranno i modi per aggirare la demonetizzazione da parte di chi ha denaro nero. Sta di fatto che qualche giorno fa Urjit Patel, economista di Yale e nuovo capo della Reserve Bank of India, è stato contestato da una piccola folla bellicosa che lo attendeva all’aeroporto.
L’opinione pubblica che conta è divisa, ma un po’ tutti riconoscono il coraggio del decisionista Modi che, oltre la demonetizzazione, ha anche annunciato una tassa unica su beni e servizi entro aprile, in sostituzione degli attuali mille balzelli. Del resto, il Bjp, partito di Moodi-ji, ha appena stravinto le elezioni municipali in Madhya Pradesh ed è dato vincente alle prossime elezioni in due Stati ricchi e importanti come Pujab e Goa.
L’opinione pubblica che conta è divisa, ma un po’ tutti riconoscono il coraggio del decisionista Modi che, oltre la demonetizzazione, ha anche annunciato una tassa unica su beni e servizi
Tuttavia, se la demonetizzazione non appare danneggiare il consenso per il leader e il suo partito, il cash crunch, determinato dalla lentezza con la quale si rimpiazzano le banconote eliminate, rischia di limare – almeno nel breve – la crescita economica indiana (+7,6%). Gli economisti stimano che l’India rimarrà una cashless economy per altri 5-6 mesi: suo malgrado, perché la popolazione non ha sufficiente circolante in banconote né possiede gli apparecchi elettronici necessari a surrogarlo. Tre indiani su quattro non usano Internet, cioè un miliardo di persone.
La Svezia, che fu tra le prime a introdurre cartamoneta, oggi ambisce a diventare una cashless economy entro 5 anni, ma prevede di distribuire mobile anche ai senza fissa dimora (per ricevere donazioni direttamente). In India, si voleva realizzare una forte demonetizzazione in un colpo solo (entro il 30 dicembre scorso) con effetti indesiderati proprio dal «basso», soprattutto in quel Paese rurale e delle grandi periferie urbane che non usa bancomat né carte di credito e, spesso, in banca non ci ha messo mai piede. Certo, l’India avrebbe le carte in regola sul piano tecnologico per rilanciare il suo sistema bancario e finanziario, ma per ora il personale qualificato al controllo delle transazioni finanziarie digitali ammonta ad appena 556 unità (negli Usa 92.000). Di conseguenza, secondo alcuni, Modi non manca d’intraprendenza, ma si macchia d’ingenuità in materia economica e tecnologica. Forse, più semplicemente sono mancati un po’ di buon senso e un po’ di gradualità, con il risultato di premiare il sistema bancario e creare ulteriore disagio nella periferia e marginalità sociale. È l’incredible India: ma fa pensare anche a che cosa accadrebbe nel caso italiano, afflitto da tristi primati di corruzione e di evasione fiscale.
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