C’è da restare meravigliati? No. L’assenza di un ministro alle celebrazioni che si terranno domani per il trentennale della strage del 2 agosto non stupisce nessuno. Non meraviglia ma almeno dovrebbe lasciare interdetti. La questione di fondo rimane irrisolta e va al di là, nonostante la grandezza del dramma civile, rispetto alla strage. Si tratta del rapporto tra la società civile, anzi la civiltà, e lo Stato.

Quando nelle ore immediatamente successive allo scoppio, il 2 agosto 1980 si improvvisavano i primi servizi in radio e televisione e un Bruno Vespa poco più che trentenne dai portici degli alberghi di fronte alla stazione già dava prova della sua indole investigativa (è esplosa una bombola di gas? è saltata per aria la caldaia?), allo sgomento per il dramma umano si affiancarono subito i dubbi su un coinvolgimento di alcune pezzi di Stato. Un «non detto» che ha accompagnato a lungo i pensieri di molti cittadini e che è stato tenuto a bada solo grazie alla presenza di personaggi istituzionalmente forti come il Pertini di allora. In trent’anni la sensazione di una incapacità da parte dello Stato, se non di una vera e propria complicità in alcuni settori deviati, nel non volere far luce sui mandanti, ha allargato ancora e in maniera forse irreparabile il fossato tra cittadini e istituzioni.

Conviene scorrere le immagini delle celebrazioni degli scorsi anni, soffermandosi in particolare su quella del 2009, quando la folla sommerse tra i fischi l’intervento del rappresentante del governo. Quel ministro, Sandro Bondi, che evita accuratamente di parlare di strage fascista, in un discorso vacuamente commemorativo e sostanzialmente inutile. Si obietterà che le commemorazioni sono quasi per definizione vacue; ma a volte almeno potrebbero aggiungere qualcosa per confermare le poche certezze, ribadire le questioni aperte, chiedere ancora che si giunga a chiuderle, per far coincidere, almeno a grandi linee, la verità storica e quella processuale. Questo ha fatto anche a proposito di Ustica, ad esempio, Giorgio Napolitano, cui non si poteva chiedere di più.

Per non rischiare altra vacuità, il governo non manderà nessuno da Roma, delegando la propria rappresentanza al prefetto Tranfaglia. Ed è senz’altro meglio così.