Mosul, Aleppo. Due delle grandi città del Medioriente sono oggi sotto attacco: Mosul in Iraq e Aleppo in Siria. La loro importanza deriva dal fatto di essere entrambe le seconde città più grandi dei rispettivi Paesi, dopo le capitali Baghdad e Damasco. Entrambe sono diventate il principale obiettivo di conquista tanto da parte delle forze ribelli quanto dei governi in carica nelle due capitali: una volta che le forze politiche al potere sono state in grado di resistere ai ribelli e questi hanno fallito nella presa del «palazzo d’inverno» delle capitali, lo scontro si è allora spostato nell’altro grande centro urbano.

Con le dovute differenze, un altro elemento comune è la preminenza delle forze jihadiste nel controllare le due città, oggi: più precisamente, la parte est di Aleppo, in cui Jabhat Fatah al-Sham (prima Jabhat al-Nusra, affiliata ad al-Qaida) è la principale forza militare del campo dei ribelli e in quanto tale ne dirige buona parte delle operazioni militari e di governo; l’intera Mosul, occupata dall’organizzazione dello Stato islamico.

La battaglia per Aleppo dura ormai all’incirca dal 2012, da quando le zone periferiche, di provincia, che circondano la aree a nord e a ovest della città ne avevano conquistato parti importanti del centro, riproducendo in questo modo una dinamica comune della storia politica siriana: le province, spesso rurali e comunque marginali nella distribuzione della ricchezza e del potere, si rivoltano e cercano di conquistare la città.

A Mosul, le tensioni tra la popolazione locale, le sue autorità e quelle dei governi centrali di Baghdad dopo il 2003 sono sempre state costanti e, in prospettiva, riguardano l’autonomia dei governi locali in un momento storico in cui manca ancora una visione e un progetto condiviso a livello «nazionale» che possa soddisfare le diverse comunità presenti nel territorio. Fino al giugno 2014 Mosul era di fatto governata da gruppi legati al passato regime baathista e rivali di Baghdad; oggi, hanno preso i colori dell’organizzazione dello Stato islamico; domani potrebbero prenderne altri in base a quale soggetto politico si faccia promotore delle istanze locali.

Altro elemento comune alle battaglie per i due grandi centri urbani è dato dal coinvolgimento di più Paesi vicini. Oltre ai governi di Baghdad e Damasco, ai curdi e alle forze ribelli, massiccia è la presenza militare e politica di Iran e Turchia, così come della Russia e degli Stati Uniti. L’Iran è sul campo a Mosul e ad Aleppo con contingenti delle Guardie della rivoluzione e delle milizie da queste addestrate e sostenute: in entrambi i casi a difesa del governo centrale e comunque con il suo consenso politico dato che ne sono alleati. La Turchia, invece, è presente con le sue truppe a Basheeqa, nella periferia nord di Mosul, e sostiene i Peshmerga curdo-iracheni contro il volere del governo di Baghdad, che respinge le mire egemoniche del presidente turco Erdogan nel nord dell’Iraq. In Siria, la Turchia costituisce il retrovia strategico dei ribelli anti-Assad, è penetrata tra l’Eufrate e Aleppo con le sue truppe e le milizie arabe alleate: in funzione anti-Isis ma soprattutto contro il tentativo dei curdi-siriani di dare continuità territoriale al loro esperimento di governo della Rojava nel nord della Siria. Sia in Iraq che in Siria gli interventi di Erdogan hanno lo scopo di imporsi come partner necessario alla risoluzione militare o politica dei conflitti in corso nei suoi due vicini arabi, agitando la pretesa sicurezza della Turchia – che trova il sostegno delle destre nazionaliste – e l’autoproclamata difesa dei sunniti, che trova l’appoggio delle forze islamiste in patria e nelle monarchie del Golfo.

A livello internazionale, gli Stati Uniti sono impegnati sul terreno della battaglia di Mosul con un sostegno logistico e militare, mentre la Russia è coinvolta massicciamente nel tentativo di Damasco di riconquistare Aleppo, e successivamente le provincie ribelli di Idlib e al-Raqqa.

La presenza di così tante forze politiche la dice lunga sul valore dei territori che vanno dalla costa mediterranea della Siria fino ai monti che dividono l’Iraq dall’Iran, passando per Mosul. Questa lunga fascia ai piedi dell’altopiano anatolico è ricca di petrolio: nelle province siriane della Jazira, nella vicina Ninive irachena (capoluogo Mosul) e nella contigua Salah al-Din. Nella zona scorrono l’Eufrate, il Tigri e i loro affluenti del Khabur, che da millenni alimentano l’agricoltura e l’export della parte settentrionale della mitica Mezzaluna Fertile; sia Aleppo sia Mosul sono poi da sempre due grandi snodi commerciali negli assi nord-sud ed est-ovest che collegano i mari del Mediterraneo, Mar Nero, Mar Caspio, Golfo-Oceano Indiano e Mar Rosso.

I territori si caratterizzano per la densità e la pluralità delle comunità linguistiche e confessionali che, quando non declinate in senso «nazionale» o secessionista, hanno costituito la ricchezza sociale e culturale dell’area. La profondità delle relazioni commerciali, militari, e culturali tra Aleppo e Mosul era testimoniata dalla promozione, da parte delle rispettive classi dirigenti, dei progetti di unità di Iraq e Siria in un unico Stato, unitario o federale e, viceversa, dello stretto controllo politico imposto a loro volta dai governi di Baghdad e Damasco per evitare possibili rivendicazioni secessioniste.

Più di recente, l’energia ha dato nuovo valore all’area: Teheran desidera mettere in sicurezza il corridoio energetico che dovrebbe collegare l’Iran con il Mediterraneo, e dunque con l’Europa. Questo progetto vede l’opposizione della Turchia, che desidera monopolizzare tutte le vie dell’energia verso occidente; e delle monarchie arabe del Golfo così come della Russia che, (sebbene suo alleato in terra siriana) desidera controllare le mosse del partner/concorrente energetico iraniano: le basi militari russe a Tartous e Lattakia coincidono non a caso con i terminal dei possibili sbocchi iraniani.

Questi sono alcuni elementi caratterizzanti le due diverse battaglie in corso, la cui soluzione militare a favore dei governi centrali è forse questione di tempo, a meno di un intervento massiccio dei dirigenti di Ankara. Ma se anche fosse, rimane intatta la questione fondamentale di come articolare i rapporti politici tra centro e periferie, tra capitali e province, tra città e campagne in modo da rispettare e valorizzare la pluralità delle affiliazioni comunitarie senza però costringere la libertà e la mobilità dei singoli individui.

Perché anche nel Medioriente delle politiche identitarie e dei conflitti esiste, o resiste, l'individuo singolo con i suoi progetti di vita.