La primavera russa. A Mosca sta accadendo qualcosa di molto importante e di storicamente inedito (o forse accaduto nel febbraio 1917?), ma di non facile decifrazione politica. Il 10 dicembre, in piazza Bolotnaya, e di nuovo il 24, sulla prospettiva Sakharov, si sono tenute due grandi manifestazioni di protesta contro i brogli elettorali in favore di «Russia unita».
Brogli che si sono verificati alle elezioni parlamentari dello scorso 4 dicembre e che sono stati documentati anche con filmati (diffusi da diversi blog) da comuni cittadini presenti ai seggi. La forbice delle valutazioni sul numero dei partecipanti è sconcertante: rispettivamente, nella prima e nella seconda manifestazione, 25.000 e 30.000 secondo le autorità di polizia; 40.000-80.000 e 100.000-120.000 persone secondo organizzatori e testimoni. Le manifestazioni, entrambe autorizzate, si sono svolte in modo pacifico. Manifestanti e poliziotti si sono addirittura complimentati gli uni con gli altri per la correttezza dei rispettivi comportamenti. L’invito a manifestare è stato diramato dai rappresentanti dei diversi gruppi di opposizione «extra-sistema» – di sinistra, destra e di sostegno ai diritti umani – non rappresentati alla Duma per il basso suffragio che essi tradizionalmente raccolgono: ma il grosso dei manifestanti (analogamente alla Primavera araba) si è mobilitato con scambi personali e tra gruppi informali su Twitter, Facebook e simili.
Si tratterebbe, così, di una manifestazione senza precedenti nella Russia post-sovietica, e in Russia tout-court (per numero e modo di aggregazione socio-politica), di una «società civile» che scende in piazza, soprattutto, in difesa della propria dignità di cittadini offesi dagli abusi del potere. I partiti dell’opposizione parlamentare (comunisti e «Russia giusta») si mantengono guardinghi: la folla chiede ai loro deputati di rimettere il mandato appena ricevuto e chiede nuove elezioni politiche per febbraio. Ma anche personaggi dell’opposizione «extra-sistema», liberali e nazionalisti, sono stati fischiati, assieme a noti conduttori televisivi non-conformisti. La folla sembra scaldarsi un po’ solo per l’iniziatore di una popolare campagna contro «il partito dei truffatori e dei ladri» («Russia unita», di Putin e Medvedev). Per il resto, i manifestanti sembravano soprattutto congratularsi tra di loro per il fatto di ritrovarsi in piazza tutti insieme.
La folla chiede ai loro deputati, in seguito ai brogli elettorali, di rimettere il mandato appena ricevuto e chiede nuove elezioni politiche
Ma chi sono costoro? C’è un largo accordo tra giornalisti e studiosi sociali russi: in gran parte, i beneficiari del decennio putiniano, la «classe media» tanto invocata dai governi post-sovietici e dalle scienze sociali indigene e occidentali, apolitici ma divenuti, con il tempo, civilmente consapevoli, che hanno ottenuto da Putin stabilità e sicurezza di reddito e di avanzamento professionale e che, ora, detestano che si continui a trattarli come sciocchi o immaturi per una vera democrazia. Si potrebbe dire che lo stesso Putin ha creato le condizioni del proprio declino: e, con qualche probabilità, superamento.
Il rating di «Russia unita» e del tandem Putin/Medvedev, declinante dall’inizio dell’anno, è poi precipitato con il voto del 4 dicembre, che ha portato la prima dal 64 al 49% dei suffragi (e dal 75 al 53% dei seggi). Cruciale, a questo esito, il gran rifiuto compiuto da Medvedev, il 24 settembre, con la sua rinuncia a candidarsi per le presidenziali del prossimo marzo in favore di Putin. Scompariva, così, l’«alternativa» liberaleggiante - all’interno del putinismo, si badi bene – sulla quale una parte dell’elettorato leale al potere contava. Quel che è peggio, dopo due anni che i dioscuri ripetevano urbi et orbi che solo all’ultimo momento essi avrebbero deciso chi dei due si sarebbe presentato, hanno preso a dichiarare che la decisione era stata presa da essi da molto tempo. Questa è stata la prima volta che l’elettorato si è decisamente sentito preso in giro. Da diversi giorni – e in mezzo ad altre, imperdonabili gaffe – il tandem sta cercando febbrilmente di correre ai ripari. È già cominciata la sostituzione delle dubbie leggi elettorali del 2004-2005 e delle altre che, dal 2002 in poi, hanno reso scoraggiantemente macchinosa e discrezionale la procedura di registrazione ufficiale dei partiti politici e di presentazione delle candidature alla Presidenza. Basterà?
Riproduzione riservata