La settimana scorsa è stato presentato a Parigi il rapporto finale della Commissione, insediata da Sarkozy più di un anno fa e presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz, per la “Misura della performance economica e del progresso sociale”. Sono quasi 300 pagine di cui raccomando la lettura delle pagine introduttive. Nonostante l’enfasi data da alcuni organi di stampa, non è una novità che il benessere di una nazione non si misuri solo con il Pil (la somma dei beni e servizi finali prodotti in un paese in un certo periodo di tempo), ma debba considerare anche altri aspetti, oggettivi e soggettivi, che concorrono a definire la qualità della vita e il progresso sociale di una nazione.
Il Pil continua tuttavia ad essere al centro dell’attenzione, e la tentazione di limitarsi ad osservare questo indicatore di benessere materiale è tanto più forte proprio in periodi di crisi come questo. Al contrario, è proprio in periodi come questo che è importante ampliare lo sguardo. Soprattutto per non prendere decisioni sbagliate per il futuro.
Il Rapporto Stiglitz offre molti spunti di riflessione e strumenti di azione. Fa tesoro delle numerose ricerche accademiche e delle iniziative concrete effettuate in questi campi a livello internazionale, ad esempio dalle Nazioni Unite, per individuare gli indicatori socio-economici necessari per rappresentare le nostre società e i loro principali problemi. Sottolinea non solo l’importanza di una corretta misurazione, ma anche di una corretta comunicazione, in quanto il modo in cui le statistiche sono usate può fornire visioni distorte della realtà. Una adeguata conoscenza della realtà è a sua volta condizione indispensabile per cittadini e policy makers, per poter valutare e assumere decisioni razionali.
Il rapporto è diviso in tre capitoli, che si occupano: di come migliorare la misurazione stessa del Pil (per tener conto della qualità e dei servizi domestici, o per migliorare la valutazione di quelli pubblici,…), dei principali indicatori di qualità della vita (salute, educazione, ma anche attività personali, libertà politiche, relazioni sociali, sicurezza…) e degli indicatori di sostenibilità e degrado ambientale. Prevede 12 raccomandazioni che pongono l’enfasi sull’utilizzo e sulla comunicazione di alcuni insiemi di indicatori, ad esempio che evidenzino le disuguaglianze, più che le medie, il benessere familiare, più che individuale, e che affianchino ad indagini su dati oggettivi, indagini capaci di rilevare gli elementi soggettivi del benessere.
Hanno fatto parte della Commissione Stiglitz 22 membri di vari paesi e 9 Rapporteurs. Tra i membri, un solo italiano, Enrico Giovannini, in qualità di Chief Statistician dell’Ocse. (Che sia un segnale che il dibattito in Italia sia sideralmente lontano da ciò che preoccupa il futuro degli altri paesi?). Da poco presidente dell’Istat, Giovannini ha avuto modo di sottolineare (Il "Sole 24-Ore" del 19 settembre) che gli uffici di statistica dispongono già di molti dati sui settori che il Rapporto Stiglitz suggerisce di valorizzare. Serve dunque la volontà politica di mettere al centro del dibattito i veri problemi del paese. Sarebbe un bel salto di qualità iniziare a discutere le raccomandazioni del Rapporto Stiglitz, auspicando, come si sottolinea nello stesso Rapporto, che ciò abbia “un impatto significativo sul modo in cui le nostre società guardano se stesse e, perciò, sul modo in cui le politiche sono disegnate, attuate e valutate”.
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