Nel febbraio scorso gli Stati europei si sono trovati in prima linea nel contrastare la crisi del Covid-19 con massicci aumenti della spesa pubblica. L’Europa ha agito da facilitatore con il programma Pepp (programma di acquisto per l'emergenza pandemica) di acquisti di titoli della Bce, con la sospensione delle regole di bilancio e con programmi di prestiti mirati ad alleviare gli sforzi dei governi nel sostenere i due settori in cui gli effetti della crisi sono stati più violenti, sanità e mercato del lavoro.
Nei due casi si è scelto di agire seguendo lo stesso principio: le istituzioni europee si indebitano a condizioni favorevoli per poi girare i fondi ai Paesi membri a un tasso, per alcuni di essi, inferiore a quello di mercato. Tuttavia, la scelta del veicolo è stata diversa. Per il mercato del lavoro si è scelto di ricorrere a un meccanismo nuovo, il Sure (Support to mitigate unemployment risks in an emergency); per la sanità è stato invece adattato il Mes, la banca sovrana stabilita nel 2012 per garantire la stabilità della zona euro venendo in soccorso a Paesi in difficoltà sui mercati finanziari. La scelta di adattare il Mes con una di linea di credito detta “pandemica” all’epoca era stata giustificata dall’urgenza. Nonostante le molte critiche che le operazioni del Mes hanno suscitato sin dall’inizio, si affermava che l’utilizzo di un veicolo già esistente avrebbe consentito di canalizzare rapidamente risorse verso sistemi sanitari allo stremo. Tale considerazione si è rivelata erronea, come molti avevano sottolineato fin dall’inizio. Oggi il Sure è operativo ed eroga fondi ai 17 Paesi che hanno scelto di domandarne l’assistenza, mentre nessun Paese ha fatto ricorso alla linea pandemica del Mes.
Il dibattito è stato animato soprattutto in Italia, dove purtroppo contrapposizioni politiche hanno impedito una discussione approfondita. La criticità del Mes avrebbe infatti dovuto essere evidente fin dall’inizio. Di fatto, con la linea pandemica, si pretendeva di trasformare in strumento di solidarietà un veicolo che era invece nato, in seguito alla crisi greca, per evitare che problemi di finanza pubblica di un dato Paese mettessero in crisi la moneta unica (è per questo, peraltro, che il Mes è stabilito con un trattato intergovernativo riservato ai soli Paesi dell’Eurozona). Per questo all’epoca il Mes fu innestato nell’impianto normativo per la sorveglianza finanziaria dei Paesi membri, dando alle istituzioni un potere di ingerenza (la celebre “sorveglianza rafforzata”) che rende il ricorso al Mes rischioso anche per la linea pandemica. Per mesi si è insistito sul Mes sanitario “senza condizioni”; la “nuova” linea pandemica, si diceva, chiariva che l’erogazione del prestito era legata alla sola destinazione dei fondi a spese sanitarie, senza nessuna messa sotto tutela del Paese, Poi, quando è stato infine chiarito (a fatica) che nessuna delle norme che regolano il Meccanismo era stata modificata (in particolare, non era stato modificano né sospeso, come si sarebbe potuto fare, uno dei regolamenti del Two-Pack, il Reg. 2013/472) e che quindi la sorveglianza macroeconomica sarebbe potuta intervenire in un secondo momento, si è cambiata linea: sulla scorta di una lettera della Commissione, si è sostenuto che l’ingerenza delle istituzioni, pur possibile, era alquanto improbabile; visto lo stato delle finanze pubbliche di alcuni Paesi (in particolare l’Italia), sarebbe quindi stato suicida non approfittare del risparmio di interessi che il ricorso al Mes garantiva. Gli altri Paesi, si sosteneva, potendosi finanziare sul mercato a tassi più convenienti, non avevano la stessa convenienza. L’Italia avrebbe dovuto utilizzare il Mes anche se fosse stata il solo Paese a farlo.
Le ultime settimane hanno però portato un duro colpo ai sostenitori del Mes sanitario. Se la ragione per cui altri Paesi come la Spagna non vi fanno ricorso fosse lo scarso risparmio di interessi, allora questi avrebbero dovuto rinunciare anche al Sure, che invece è stato plebiscitato. È questa la prova che il Mes presenta criticità che sussistono anche nella linea pandemica. Non è solo una questione di convenienza.
Per ovviare a tali criticità occorrerebbe una riforma in profondità del Mes diversa da quella attualmente in discussione, che in primo luogo trasformasse (come preconizzato da un recente lavoro dell’istituto Delors) la banca sovrana intergovernativa in un’istituzione comunitaria. E poi, che rompesse il legame oggi inestricabile con le norme sulla sorveglianza macroeconomica del Two Pack (introdotto nell’ordinamento comunitario qualche mese dopo la creazione del Mes). Questa sarebbe la soluzione ideale, tra l’altro perché rimetterebbe in circolo i fondi oggi intrappolati in un’istituzione che è ormai anacronistica. Ma la riforma del Mes, caduta nel dimenticatoio in questi mesi di pandemia, sta oggi procedendo sulle stesse linee del dicembre 2019, nel quadro problematico della realizzazione dell’Unione bancaria e del Meccanismo di risoluzione unico (Srm). E riguarda perciò problemi estranei a quelli sottesi all’offerta di Mes sanitario. Inoltre, se anche si andasse nella direzione da noi preconizzata, si tratterebbe di un processo complesso e irto di ostacoli, che mal si concilia con l’urgenza dettata dalla pandemia
Si può allora percorrere un’altra strada. Il successo del Sure deriva dal suo essere incastonato nell’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, che regola la solidarietà europea in caso di eventi straordinari come la pandemia in corso. L’articolo 122 statuisce che l’Unione europea può fornire assistenza finanziaria a Paesi colpiti da calamità naturali. Questa assistenza è quindi naturalmente volta a sostenere il Paese in difficoltà e non, come nel caso del Mes, a preservare la stabilità finanziaria dei creditori. Contrariamente al Mes, quindi, il Sure senza condizioni esiste veramente. Il regolamento che istituisce lo strumento (Reg. 2020/672) chiarisce che l’erogazione dei fondi è vincolata esclusivamente al loro utilizzo per il sostegno al mercato del lavoro (in particolare la cassa integrazione) e non vi è nessuna messa sotto tutela del Paese che vi fa ricorso. I controlli (art. 13 e 14 Reg. 2020/672) sono quelli stabiliti in via generale per la tutela dell’interesse finanziario dell’Unione (art. 220/5 Reg. 2018/1046) e si basano su un accordo che prevede verifiche periodiche sul rispetto del vincolo di destinazione delle somme erogate .
In sintesi, il Sure è uno strumento adatto ai bisogni che deve soddisfare, un veicolo della solidarietà europea verso i Paesi colpiti dalla pandemia. Il Mes è uno strumento che è nato per garantire la stabilità finanziaria che è stato malamente riorientato, senza alterarne la sostanza, per far fronte alla pandemia.
Per sostenere le spese dei Paesi membri nel settore della sanità, dunque, si potrebbe replicare il modello che ha dimostrato di funzionare. Uno “Sure pandemico” potrebbe essere operativo in poche settimane (basterebbe copiare e incollare il regolamento che istituisce il Sure), non avrebbe difficoltà a reperire fondi nel contesto attuale di abbondanza di risparmi e come il Sure potrebbe andare a finanziare retroattivamente anche le spese già sostenute nel 2020. Le sole condizioni sarebbero quelle sulla destinazione dei fondi, condizioni che nessun Paese avrebbe difficoltà a rispettare.
Nel replicare il Sure per la sanità le autorità europee dovrebbero approfittarne per correggere alcune anomalie del meccanismo creato per il mercato del lavoro. In primo luogo, l’ammontare totale del Sure è fissato a 100 miliardi (i 17 Paesi finora finanziati ne usano circa 87). Per evitare la ripartizione in base al principio del primo arrivato primo servito, l’ammontare massimo del Sure sanitario dovrebbe essere fissato per ogni Paese in proporzione al Pil. Inoltre, è un peccato che i notevoli sforzi di trasparenza di Commissione e Consiglio sul processo di finanziamento e di erogazione dei prestiti Sure si fermino proprio all’ultimo miglio, e cioè all’accordo di prestito che definisce nel dettaglio condizioni e tassi dei prestiti ai Paesi membri. Il regolamento di un eventuale Sure sanitario dovrebbe prevedere trasparenza anche per quest’ultimo passo del processo. Si tratta tuttavia di problemi relativamente limitati e di non difficile soluzione. La seconda ondata della pandemia e la prossima campagna di vaccinazione hanno ribadito l’urgenza di misure a sostegno della sanità, richiedendo scelte coraggiose. Alla luce di questo, si dovrebbe accettare il verdetto del “mercato” e rottamare il Mes, istituzione di un’altra epoca per cui non c’è interesse, almeno su questi aspetti. E mettere a disposizione dei Paesi europei uno strumento, lo Sure pandemico, che probabilmente sarebbero ben felici di utilizzare.
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