Chissà che cosa provano in questi giorni i tanti musulmani devoti che vivono in Italia. Viene da chiederselo, seguendo anche solo da lontano il polpettone da cinegiornale costruito sulla visita di un capo di Stato estero a Roma.
Sembra abbastanza probabile che non solo i fedeli musulmani, ma anche gli studiosi dell’islam provino un moto di insofferenza (se non di vera e propria sofferenza) nel vedere le copie del Libro sacro della civiltà islamica circolare tra le 500 (cinquecento) ragazze in cerca di notorietà e di qualche spicciolo, il cui festoso e disinvolto assembramento è stato predisposto dal nostro governo per la nuova visita del vecchio tiranno. Alcune di queste, stando alla stampa, si sono addirittura convertite. «On the spot», come ha scritto il «New York Times». Altre devono essersi presto rese conto che il gioco non valeva la candela, e hanno usato il Libro come semplice scudo per pararsi dagli obiettivi dei soliti paparazzi, talentuosi indiscreti per mestiere.
Alle tante critiche rivolte al governo italiano per essersi prestato ancora una volta a una simile indecorosa messa in scena, ha risposto il ministro degli Esteri Franco Frattini, sostenendo, riferendosi ai critici, che si tratta di «gente che non conosce affatto né la politica estera né gli interessi dell’Italia». Può darsi. Certo che qualche approfondimento su che cosa si debba intendere per «interessi dell’Italia» andrebbe fatto. Nella migliore delle ipotesi potrebbe trattarsi di interessi di alcune imprese italiane. Ma quale danno il nostro Paese ricaverà, se non altro in termini di immagine, da questa nuova operazione mediatica? Un nuovo «evento», che toglie per qualche ora dai riflettori della cronaca le questioni centrali di cui la politica dovrebbe occuparsi.
Mentre il circo impazza (e lo scriviamo senza voler mancare di rispetto ai circensi di professione), sembra esserci qualche problema per quel che resta della nostra industria, ad esempio. Ma nonostante le promesse, il ministero dello Sviluppo economico continua a non avere un titolare (da maggio). E dire che le vicende legate al nuovo corso delle relazioni industriali in Fiat, di cui si occupa con una nota sul sito Umberto Romagnoli e a cui sarà dedicato nel prossimo numero della rivista un articolo di Gian Primo Cella, qualche preoccupazione dovrebbero destarla. Il lavoro è solo uno dei temi cruciali, costituzionalmente cruciali, che vacillano, tra crisi di governo presunte e politiche balneari. C’è la scuola, con le tante incertezze per il nuovo anno che partirà tra poco legate al nuovo, ennesimo tentativo di riforma. Ci sono, tra scuola e lavoro, le proteste dei tanti precari che rischiano di non trovare ascolto. C’è il grande punto interrogativo di seguito alla parola magica, «federalismo», la cui altissima valenza politica ha fatto sì che venissero messe in secondo piano l’enorme complessità (valutativa e processuale) e gli effetti ingenerosi (ed esplosivi) nei confronti degli enti locali. C’è una politica economica che stenta a ridare fiducia e un sistema incerto e vacillante dopo le botte subite. Ci sono insomma molti fronti aperti e poche risposte certe. Ma siamo ancora ad agosto, per qualche ora almeno, e la scena resta alle hostess, ai cavalli berberi e a qualche manager.
Tra poco inizierà il nuovo anno scolastico. Sarebbe bene che riprendesse, più o meno nella decenza, anche il nuovo anno politico.
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