Salvatore, Yara, Joseph, Amud, Kitty e Karim se ne stanno protetti e accuditi a Menfi, in una villetta che i giornali e le televisioni amano chiamare l'orfanotrofio del mare. L'11 ottobre Salvatore, Yara, Joseph, Amud, Kitty e Karim erano a bordo del barcone su cui prima avevano sparato a mitraglia le motovedette libiche, e che poi s'era rovesciato. Ora appunto sono qui, nella Valle del Belice, al sicuro. Non si sa chi siano, né da dove vengano. Anche i nomi sono incerti o di fantasia. In ogni caso, sfogliando le pagine dei giornali o passando da un tg all'altro, è facile commuoversi per loro, e anche per chi li protegge e li accudisce. Quasi ci pare che questo misero Paese, il nostro, oggi abbia la coscienza più leggera. Fin qui la buona, l'ottima notizia. Appena un po' più in là – un po' più in là dell'orfanotrofio del mare e dalla commozione mediatica – resta l'indecente realtà, insieme con una propensione anche più indecente a dimenticare.
Un paio di settimane fa, i nostri senatori hanno tentato in maggioranza di cancellare la vergogna della legge Bossi-Fini, o almeno di quella sua parte che della povertà, della paura e della disperazione ha fatto un reato. Lo hanno tentato in gran fretta, per la vergogna, appunto. Ma vergognoso è che una minoranza consistente si sia opposta. E vergognoso è che il capo del Movimento cinque stelle abbia sconfessato i suoi, che quel tentativo hanno sostenuto. Se nel programma elettorale avessimo proposto di abolire il reato di clandestinità, ha tuonato, la percentuale dei nostri voti sarebbe stata da prefisso telefonico. Una vergogna, appunto. Ma è ancora più vergognoso il fatto che proprio così sarebbe accaduto.
Il nostro è un Paese in cui paura e odio sono stati diffusi, allevati, coccolati per più di vent'anni. Hanno cominciato i leghisti, che degli immigrati dal nostro Sud hanno fatto il capro espiatorio capace di farli arrivare a Roma, e che poi – dal momento che anche i terroni votano – li hanno sostituiti via via con albanesi, maghrebini, rumeni, rom... La loro strategia funzionava. Funzionava a tal punto, da diventare il cuore del marketing elettorale (per usare un'espressione di cui ci si dovrebbe vergognare, ma di cui nessuno sembra vergognarsi). Convinti dai risultati, oltre che sorretti da una vocazione genetica, come i leghisti hanno presto fatto gli altri partiti di destra. E una gran parte del centrosinistra li ha seguiti a ruota, magari non accanendosi come loro contro gli stranieri, ma certo evitando di difendere le ragioni della loro (e nostra) dignità. Lo ha fatto per ignavia e insipienza politica, e per timore delle percentuali da prefisso telefonico che oggi continuano a spaventare il capo della cosiddetta antipolitica.
Così è andata, fino a ieri. Per più di vent'anni, il solo argomento che abbia spostato voti è stato quello della paura e dell'odio. Di paura e odio s'è nutrito il potere, fino a ieri. E oggi? Oggi sembra che torni a essere così, se la guida suprema del cambiamento può mettere in pratica impunemente la lezione veteroleghista, reato di clandestinità e ius soli compresi. D'altra parte, gli conviene. Gli conviene perché gli Italiani sono (sono diventati?) in gran parte criptorazzisti, se non razzisti.
Di tutto questo ci siamo dimenticati, in un mese d'ottobre zeppo di morti, di "clandestini" morti. In particolare, politici e giornalisti si sono dimenticati di ricordare – perdonate il bisticcio verbale – che ne siamo responsabili noi, più della povertà, della paura, della disperazione. Al di là della commozione, al di là della gratitudine per gli uomini e le donne dell'orfanotrofio del mare, dovremmo farci una domanda dolorosa e onesta: chi ha ucciso, davvero, i padri e le madri di Salvatore, Yara, Joseph, Amud, Kitty e Karim, o comunque si chiamino?
Riproduzione riservata