Un calcolo tanto audace quanto pericoloso. Così si può leggere il cambio di primo ministro voluto da Emmanuel Macron a inizio 2024. Dunque, Gabriel Attal prende il posto di Elisabeth Borne a Matignon e apre una nuova pagina del secondo quinquennato di presidenza Macron. Per comprendere a pieno l’audacia, ma allo stesso tempo le incognite, dietro a questa scelta occorre definire il contesto all’interno del quale si inserisce la stessa e le caratteristiche del nuovo primo ministro e del suo governo.
Prima di tutto è importante ricordare che Macron è giunto alla decisione di congedare Borne al termine del controverso via libera della legge sull’immigrazione. Più che sui contenuti del provvedimento, a costituire un punto di non ritorno sono state le modalità di elaborazione e di voto dello stesso. L’Assemblea nazionale ha infatti dato il via libera il 21 dicembre a una legge votata anche dal gruppo parlamentare del Rassemblement national e sostanzialmente nella versione uscita dal Senato, guidato da una maggioranza di centrodestra. I malumori all’interno della maggioranza, solo relativa, sono stati sostanziali e vanno ben al di là delle uniche dimissioni, quelle dell’allora ministro della Sanità Aurélien Rousseau. Come ricordato dallo stesso Macron in occasione degli auguri di fine anno, il tempo di una “ripartenza” era giunto. Come ulteriore elemento di contesto occorre ricordare che il presidente in carica è arrivato a fine 2023 con un livello di gradimento presso l’opinione pubblica attorno al 27% (con Borne addirittura al 24%) e dopo aver affrontato dall’inizio del suo primo mandato nel 2017 almeno tre grandi crisi. Quella della Francia “periurbana” nota come rivolta dei gilets jaunes (tra 2018 e 2020); quella della classe media che si autopercepisce e si considera sempre più declassata e che si è estrinsecata in una serie importante di scioperi negli oramai sette anni di guida del Paese da parte di Macron in occasione di tutte le sue più rilevanti riforme (codice del lavoro, regimi speciali, riforma pensionistica per citarne solo tre); e infine quella per semplificazione delle banlieue, che ha avuto l’ultima coda la scorsa estate dopo la morte del giovane Nahel e che più nel complesso riguarda quel mix esplosivo tra immigrazione, mancata integrazione di seconde e terze generazioni e fallimento del sistema meritocratico della scuola repubblicana, addirittura al centro di fatti di sangue clamorosi come le uccisioni dei professori Paty (nell’ottobre 2021) e Bernard (nell’ottobre scorso). Ancora semplificando, si può concludere che questi tre eterogenei movimenti di protesta e malessere, scarsamente rappresentati a livello politico, si coagulano nell’opposizione nei confronti di Macron.
L’orizzonte del 2024 è diventato per Macron un ultimo potenziale spartiacque, una sorta di “ora o mai più”, con ben presente il passaggio elettorale delle prossime elezioni europee. Peraltro il 2024, oltre al fondamentale appuntamento del voto per Strasburgo, vede Parigi in prima fila per le commemorazioni per l’ottantesimo anniversario dallo sbarco alleato in Normandia, per l’organizzazione dei giochi olimpici e infine per un decisivo summit sulla francofonia. Con il Rassemblement National oggi accreditato di dieci punti percentuali di vantaggio rispetto a Renaissance, Macron ha scelto Gabriel Attal innanzitutto per evitare una “chirachizzazione” del suo secondo mandato (la totale stasi nella quale entrò Jacques Chirac poco dopo la sua clamorosa e plebiscitaria rielezione contro Jean-Marie Le Pen nel 2002) e per tentare, grazie alla sua energia e alla sua giovane età, quel “riarmo” e quella “rigenerazione” di cui ha parlato nel tweet con il quale ne ha salutato la nomina.
Il 2024 vede Parigi in prima fila nelle commemorazioni per l’ottantesimo anniversario dallo sbarco alleato in Normandia, per l’organizzazione dei giochi olimpici e infine per un decisivo summit sulla francofonia
Ecco allora che audacia e pericolosità sono prima di tutto racchiuse nel profilo del più giovane primo ministro non solo della V ma anche della IV Repubblica, se ci si vuole limitare al periodo post-bellico. (Fabius nel 1984 aveva 37 anni e Felix Gaillard nel 1957 ne aveva 38). Attal arriva a Matignon a 34 anni, ma soprattutto con un livello di gradimento che lo proietta al primo posto presso l’opinione pubblica tra tutte le personalità sulla scena politica. Un gradimento lievitato nei cinque mesi trascorsi da Attal alla guida del delicato quanto fondamentale dicastero dell’Educazione nazionale. Il suo attivismo, la sua insistenza sulla necessità di riportare al centro del dibattito politico i temi del valore della scuola e del merito repubblicano, i suoi provvedimenti anche forti come il divieto di indossare l’abaya negli edifici scolastici e quello di reintrodurre la bocciatura nella scuola dell’obbligo, lo hanno imposto quale volto nuovo, efficace e popolare del macronismo.
E proprio osservando queste caratteristiche, è impossibile non notare la discontinuità rispetto alle passate scelte di Macron. Con i due primi ministri del primo quinquennato, ma per molti versi anche con Borne, il presidente si era mosso in direzione opposta. Edouard Philippe e ancor di più Jean Castex, al momento del loro ingresso a Matignon, erano due sconosciuti per l’opinione pubblica francese, eletti locali e con nessuna esperienza ministeriale. La stessa Borne, seppur grand commis attiva nei gabinetti ministeriali di Jack Lang, Lionel Jospin e in tempi più recenti di Ségolène Royal, quando giunge a Matignon è un prefetto che ha svolto tutta la sua attività ministeriale dal 2017 (Trasporti, Transizione ecologica e Lavoro) all’ombra del presidente della Repubblica. Prima del 2022 non è mai stata candidata a una elezione, né locale, né nazionale. Attal, al contrario, è un prodotto tutto politico. Con una importante esperienza nel gabinetto ministeriale di Marisol Touraine durante la presidenza Hollande, iscritto giovanissimo e per un decennio al Partito socialista, che lascia per partecipare al gruppo dirigente della prima ora di En Marche! Eletto alle legislative del 2017, entra nel secondo governo Philippe nel 2018 come sottosegretario all’Educazione nazionale. Nel 2022 nel governo Borne è ministro delegato ai Conti pubblici, un vice del potente ministro dell’Economia e delle Finanze Bruno Le Maire, e poi con il rimpasto di luglio scorso l’arrivo alla guida dell’Educazione nazionale e la rapidissima ascesa. La novità è di quelle da sottolineare con attenzione. Macron nel suo segnale di audacia sembra anche mandare un messaggio personale: è lui stesso disponibile a cambiare, a segnare una discontinuità, a uscire dalla sua zona di confort, con questa scelta.
Il costituzionalista Pierre Avril ama affermare, a proposito dei rapporti di forza tra presidente della Repubblica e primo ministro nelle istituzioni della V Repubblica: “Quando il primo ministro non esiste, se ne sente la mancanza. Quando esiste, finisce per inquietare”. Con questa affermazione si entra necessariamente nel campo delle incognite. È capitato più volte che riuscire a Matignon si sia tramutato in motivo di divorzio tra presidente e primo ministro. Se quest’ultimo si “presidenzializza” e potenzialmente si pone dunque in competizione, il presidente opta per il cambio. I precedenti non mancano: Pompidou nel 1968 con de Gaulle all’Eliseo; Chaban-Delmas nel 1972 con Pompidou presidente; la competizione per due anni tra Giscard e Chirac; quella tra Mitterrand e Rocard conclusasi nel 1991, ma anche lo stesso Macron che ha congedato Philippe nel 2020, proprio per cercare di rilanciare se stesso messo in ombra dall’inquilino di Matignon. Gabriel Attal dovrà aver presente tutto ciò e altri due dati determinanti. Uno ancora di natura storico politica. La sua scelta può ricordare quella del 1984 operata da Mitterrand con Fabius, per un tentativo di rilancio in vista delle legislative del 1986. E anche quella ancora di Mitterrand del 1992, con Bérégovoy nello strenuo tentativo di limitare i danni di un’attesa debacle alle legislative. Entrambe le scelte, anche se a livelli differenti, non si sono rivelate fruttuose. L’altro elemento riguarda la situazione parlamentare che il suo predecessore a Matignon ha dovuto affrontare. Le legislative del 2022 per certi versi sono state ben più “storiche” della rielezione di Macron di due mesi prima. Infatti il partito presidenziale e i suoi alleati minori hanno ottenuto una maggioranza solo relativa all’Assemblea nazionale. Quello di Borne è stato un vero “calvario parlamentare”, sempre stretta tra le negoziazioni con i post-gollisti e le intemperanze delle opposizioni, sicuramente inconciliabili ma particolarmente aggressive a sinistra con la Nupes guidata da La France Insoumise e a destra con il sempre più “normalizzato” Rassemblement national. L’uso reiterato del 49.3 (solo Rocard, ma in oltre tre anni, lo ha utilizzato di più), che azzera sostanzialmente le possibilità delle opposizioni parlamentari, è solo una testimonianza di ciò che attende il neo primo ministro nei mesi a venire se, come annunciato da lui e dal presidente, vorrà tentare un vero rilancio in termini di riforme e volontarismo.
Accanto al rischio che Attal non si caratterizzi come il primo ministro “fusibile” (che “difende” il sovraesposto presidente), vi è anche un’ulteriore incognita: saprà colui che era il più giovane ministro (il “benjamin”) della compagine di governo, mostrare la necessaria autorità per coordinare e mettere al lavoro in maniera coerente alcune questioni rilevanti del governo, che soprattutto svolgono questo ruolo dai primi passi del percorso di Macron nel 2017?
Macron, in occasione del primo Consiglio dei ministri, ha chiesto “risultati, solidarietà e velocità”. Vedremo se nelle prossime settimane il governo Attal saprà raccogliere qualche buon risultato
Qualche indicazione può giungere dalla compagine di governo che il nuovo primo ministro si trova a guidare. La coppia Macron-Attal sembra averla costruita con attenzione a quattro principali punti. Prima di tutto la convinzione che la competizione nel prossimo semestre si giocherà tutta a destra. Da un lato prosegue il lavoro, avviato nel 2017 e accentuato nel 2022, di sottrazione delle migliori personalità dalla destra repubblicana postgollista (oltre la metà dei quindici ministri arrivano dalla famiglia postgollista). Dall’altro il confronto con il Rn si giocherà su molte delle sue tematiche, non limitandosi a un contrasto “morale” del lepenismo. Quella proposta è una droitisation sul modello di quella operata da Sarkozy e non a caso l’arrivo di Chaterine Vautrin al ministero del Lavoro e di Rachida Dati alla Giustizia lo testimoniano. In secondo luogo, il governo Attal mantiene al loro posto, numero due e numero tre nella struttura protocollare, i due pilastri del macronismo della prima ora, entrambi ex gollisti, Bruno Le Maire (da sette anni ministro dell’Economia e delle Finanze) e Gérald Darmanin, anche mediaticamente attivissimo ministro degli Interni. In terzo luogo, i due piccoli ma fondamentali partiti alleati, Modem e Horizons, rispettivamente del centrista Bayrou e dell’ex primo ministro Philippe, sono accontentati con il mantenimento del potente ministro dell’Agricoltura Marc Fesneau e la conferma di Cristophe Béchu, segretario generale di Horizons, alla Transizione ecologica. In realtà sia Bayrou sia Philippe hanno già rilanciato pretendendo altre nomine, ad esempio ministri senza portafoglio, vice ministri e sottosegretari, sottolineando così la loro importanza in termini numerici all'Assemblea nazionale. Infine l’ala sinistra, e in generale il partito del presidente, Renaissance, è messa in sicurezza dalla triade Attal (primo ministro)-Séjourné (segretario del partito e promosso al ministero degli Esteri)-Bergé (già capogruppo di Renaissance all’Assemblea nazionale, seppur proveniente dal centrodestra, e confermata al governo come ministro per l’Uguaglianza di genere e la lotta alle discriminazioni).
Macron, in occasione del primo Consiglio dei ministri, ha chiesto “risultati, solidarietà e velocità”. Se nelle prossime settimane il governo Attal raccoglierà qualche buon risultato, le elezioni europee non si tramuteranno in una débâcle e allora la fine del quinquennato di Macron potrà avere un senso. Questa volta Macron ha optato per aggiungere all’iper-presidenza una sorta di “iper-primo ministro”. Potranno convivere due “iper-teste” nell’esecutivo della V Repubblica? Come affermato in apertura qualcuno ha parlato di audacia, altri hanno utilizzato il termine disperazione… Non resta che attendere.
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