C’è qualcosa di serio nelle polemiche intorno ai premi letterari? Forse no, forse sono solo le fibrillazioni di un sistema mediatico che ha bisogno di rendere tutto spettacolare e possibilmente scandaloso per riempire le prime pagine. E come volete che il mondo dei libri e della letteratura arrivi nelle prime pagine se non perché qualcuno insinua, qualcuno trama, qualcuno tradisce? Solo lo scrittore che abbandona, l’editore che denuncia, il giurato che allude possono rendere appetibile una realtà altrimenti tenacemente resistente alle volgarizzazioni. È un degenerazione, d’accordo, ma è la patologica funzionalità del nostro sistema di informazione. E dunque varrebbe la pena di fregarsene, continuare a leggere libri e a discuterne nelle forme vecchie e nuove che la comunità del lettori magari a fatica ha ormai imparato a praticare.
Forse è però possibile intravedere qualcosa di più interessante dietro queste noiose controversie, specie se si prova ad allargare lo sguardo e a intrecciare fatti diversi. Per esempio insieme alla vergogna svelata del premio Grinzane (il più ricco) e alla disputa accanita intorno al premio Strega (il più noto), i tagli agli investimenti culturali. Allora il fastidio istintivamente diffuso e il discredito sparso a piene mani su quelle iniziative non possono che apparire funzionale a “banali” scelte economiche. E ci si può persino spingere a ipotizzare che si tratti dell’ennesima tappa dell’attacco a cittadelle vagamente ritenute di sinistra in un sistema sociale e istituzionale ormai di destra. Ma il problema è che quel fastidio e quel discredito sono ampiamente fondati.
So bene che bisognerebbe fare delle distinzioni, rendere onore a iniziative benemerite, citare i tanti che nelle istituzioni letterarie e politiche lavorano con onestà. Ma è vero che gran parte dei premi letterari sono frutto di calcoli, strategie, accordi. Anche quando premiano la qualità, l’evento sembra accadere quasi per caso. Non è questione di destra e sinistra (come mostra la storia del premio Grinzane, nato dal cuore dell’editoria cattolica). È la struttura elitaria e autoriferita di giurie e consorterie a generare inevitabilmente una rete di favori e di scambi. Ed è la bulimia di enti locali e associazioni culturali ad alimentare una specie di pulviscolo letterario-spettacolare che soffoca ogni alternativa e chiude a ogni novità. Così, ai vecchi limiti di una società letteraria tradizionalmente asfittica ed egoista si sono sommati difetti nuovi, come la frivolezza consumista della cultura di massa.
Il problema allora non sono i premi. È il sistema. Sono i giornali e il mondo dell’informazione, oggi così solerti nello svelare manovre e manipolazioni, i primi responsabili della chiacchiera che strangola la scrittura e la sua forza potenziale. Sono le università e le accademie che nutrono anche le più futili tra queste iniziative (e se ne nutrono, persino lautamente, come si è visto). Sono le politiche culturali che a livello nazionale e locale prediligono la spettacolarità esibizionistica delle cerimonie e trascurano le scuole, le biblioteche, la lettura. È per non parlare di questo che si parla tanto del premio Strega.
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