Un’offerta che non si può rifiutare. L’Inghilterra, il Paese che ha inventato il concetto di riservatezza, ultimamente sta perdendo qualche colpo. Il Daily Mail e il Telegraph, in due articoli del 31 agosto scorso che sono stati ripresi anche dal Corriere della Sera, hanno rivelato che due banche britanniche, la Northern Rock e Bradford & Bingley, ogni settimana contattano circa 2000 dei loro clienti titolari di mutuo per intimare loro di smetterla di spendere soldi in “beni di lusso” e di “dare priorità ai mutui”. Curioso che avvertimenti del genere arrivino da due istituti che, sottolineano i giornali, sono “di proprietà dei contribuenti”, poiché salvati dal fallimento con colossali iniezioni di pound di cui devono ancora restituire 47 miliardi di sterline, penny più, penny meno.
L’agenzia UK Asset Resolution, messa in piedi dal governo per gestire le due banche ora pubbliche, evidentemente preoccupata da come stanno andando le cose, sembra decisa a fare in modo di riavere indietro i soldi prestati - che, in fin dei conti, ora sono soldi pubblici. Immaginiamo il dialogo telefonico in stile italo-mafioso:
“Pronto? Buongiorno, qui è la sua banca. Sappiamo che lei sta spendendo troppo in palestre, viaggi e telefono. Lo sa che andando avanti di questo passo non riuscirà a pagare il mutuo che ha con noi?”
“Scusi, ma lei come fa a sapere quanto spendo?”
“Questo non ha importanza. Le consigliamo di ridurre drasticamente la sua spesa in questi settori, altrimenti le ritiriamo il mutuo e ci prendiamo la sua casa.”
“Come non ha importanza? Che vuol dire che vi prendete la casa? Pronto?...”
“tu-tu-tu-tu-tu…”
Il malcapitato mutuatario telefonomane e palestrato si sentirà costretto quindi rinunciare ai suoi “lussi” e a imporre morigeratezza a sé e alla sua famiglia per ripagare i mutui che nel Regno Unito, negli ultimi anni, arrivavano allegramente a coprire il 120% del costo delle case, senza fare troppe storie sulle garanzie. Ma la domanda è: come fanno queste banche a conoscere le spese dei loro clienti? La risposta sta nei “secret credit checks”, ossia le operazioni confidenziali di controllo solvibilità, quelle che di solito tutte fanno prima di concedere i mutui. Il problema sembra essere proprio il fatto che i controlli li facciano in corso d’opera, quando i mutui sono stati già approvati. Evidentemente le due banche, che in effetti non sono riuscite a fare un credit check nemmeno su se stesse, non si fidano più delle valutazioni che hanno fatto in tempi di credito (troppo) facile.
Interpellati, i manager hanno candidamente ammesso che sì, in effetti contano di arrivare a 30.000 “avvisi di garanzia” per coloro che ultimamente non ce la fanno a pagare gli acquisti con carta di credito oppure hanno i conti troppo asciutti. L’istituto Experian, la più grande agenzia britannica di informazioni commerciali e immobiliari, ricorda che per effettuare un controllo sui propri clienti la banca ha bisogno del consenso. Ma in tutti i contratti di mutuo c’è la postilla che permette alle banche di effettuare ulteriori controlli oltre a quello iniziale per la concessione, e quindi sembra tutto lecito, a parte l’ovvio malumore di tanti cittadini, espresso anche nei commenti arrivati ai due giornali.
La morale di questa strana storia dei tempi della crisi è difficile da cogliere, ma un punto mi sembra chiaro: la privacy è un concetto di cui perfino i suoi creatori hanno perso il controllo, e forse sarebbe bene ripensare profondamente a cosa significa oggi. Consegniamo – e con gioia – i nostri dati agli ingordi globali della pubblicità, raccontando e fotografando la nostra vita privata per condividerla, ma non ci piace che la banca ci dica che viviamo al di sopra delle nostre possibilità. E se stavolta la banca avesse ragione?
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