Brexit: buona la prima per Cameron, ora vanno convinti i conservatori. La valutazione delle proposte del presidente del Consiglio europeo Tusk sulla “nuova intesa” tra il Regno Unito e l’Unione europea varia significativamente a seconda del termine di paragone. Se il riferimento è costituito dalla lettera del 10 novembre, in cui David Cameron aveva dettagliato le sue richieste, l’esito (solo parziale) può essere giudicato più che soddisfacente dal leader conservatore. Sebbene esista un caveat sull’elemento maggiormente qualificante, quello delle politiche per limitare l’immigrazione comunitaria. Se lo si giudica, invece, con la sensibilità della stampa euroscettica, i pareri oscillano tra definirlo uno “scherzo”, “una grande delusione”, o “una farsa”.

Anche se nel complesso ingenerose, tali valutazioni rivelano quello che sarà il tema centrale del dibattito politico inglese, qualunque siano le modifiche apportate alla proposta di Tusk dal Consiglio europeo del 18-19 febbraio. Chiusa la partita europea, per Cameron si riaprirà quella interna, anche nel suo stesso partito. Date le premesse, sembrano esistere le condizioni perché sia la seconda quella più impegnativa in vista del referendum, programmato (forse) per il 23 giugno.

Nel programma elettorale del 2015, e soprattutto nella lettera indirizzata a Tusk, Cameron aveva promesso di riformare le relazioni tra il Regno e l’Unione intorno a quattro pilastri: la governance economica, la competitività, la sovranità e l’immigrazione. Tra alcune proposte di carattere perlopiù simbolico – come il rafforzamento della garanzia che il Regno Unito non fosse vincolato al progetto politico di un’“Unione sempre più stretta” – ve ne erano altre invece più puntuali, con chiare implicazioni di policy: ad esempio, la rassicurazione che la legislazione sull’Unione bancaria non venisse estesa agli Stati membri al di fuori dell’Euro-area, se non su base volontaria.

Soprattutto, però, il primo ministro britannico chiedeva di poter "discriminare" tra cittadini britannici e comunitari nell’erogazione di alcune prestazioni sociali. I cittadini comunitari avrebbero dovuto attendere quattro anni prima di poter accedere a programmi di sostegno al reddito; e i contributi per i figli a carico ancora residenti nel Paese di origine sarebbero stati aboliti immediatamente. Si trattava evidentemente di proposte radicali, che andavano a toccare il principio di non discriminazione tra i cittadini comunitari e, più indirettamente, quello della libertà di movimento.

Nella lettera di Tusk, le “legittime” richieste di Cameron sull’immigrazione vengono prese in seria considerazione. In principio, si accetta che la libera circolazione dei lavoratori possa essere limitata quando sussistono circostanze eccezionali. Nel concreto, però, le proposte del primo ministro britannico vengono annacquate, sebbene non snaturate. Se le altre richieste di Cameron erano strategicamente formulate in modo da poter essere, in qualche modo, soddisfatte, era l’immigrazione il vero tema controverso a Bruxelles ed esplosivo a casa, dove lo UK Independence Party, e i più euroscettici tra i Tories, erano pronti a capitalizzare sulla sconfitta.

Infatti, è l’elemento su cui minori progressi (a guardarla dalla prospettiva di Cameron) sono stati compiuti: la sospensione dell’erogazione dei contributi assistenziali si è trasformata in un limite graduale, temporalmente definito, e autorizzato dal Consiglio su proposta della Commissione. I contributi per i figli a carico verrebbero indicizzati al costo della vita: se è certo un saldo positivo per il bilancio britannico, paradossalmente un richiedente lussemburghese staccherebbe un assegno più corposo di quello attuale.

Se le cose rimanessero, grosso modo, come ora alla fine dei negoziati, l’attenzione di Cameron potrebbe spostarsi da Bruxelles a Londra, e in particolare a Westminster. Perché all’interno del Partito conservatore la fronda anti-europea potrebbe crescere se, alimentata anche dalla campagna anti-europea dei tabloid, alla pattuglia di circa settanta euroscettici duri si aggiungessero deputati critici verso l’Unione, ma finora leali verso il primo ministro.

Come mostra un recente sondaggio per The UK in a Changing Europe, il 63% dei deputati conservatori attende l’esito delle negoziazioni per decidere come votare al referendum. Mentre altri sondaggi, quelli di Ipsos-Mori sull’opinione pubblica, indicano che il tema dell’immigrazione rimane il più importante per i cittadini britannici, e l’attenzione per l’Unione europea sta finalmente crescendo, raggiungendo il suo picco massimo dal lontano 2005. In questo contesto, se le carte non venissero sparigliate dal Consiglio europeo, Cameron dovrà mettere tutto se stesso per convincere gli elettori, e i membri del suo partito, che la migliore collocazione del Regno Unito rimane nell’Unione europea.