Arcobaleno laburista. Nella moderna democrazia dei partiti la metafora della competizione politica fatta di colori ha avuto tanta fortuna quanto quella del posizionamento da destra a sinistra sui banchi di un’aula assembleare. Inizialmente dettati da pragmatiche necessità elettorali, partiti e fazioni hanno assunto e impiegato nelle proprie lotte i colori come vessilli, simboli e rappresentazioni cognitive. Oggi la politica inglese, che non ha mai avuto a che fare con le recenti fantasie delle «coalizioni Giamaica» discusse in Germania (un’alleanza Cdu-Fdp-Grünen) o delle balenanti sinistre arcobaleno italiane, si vede colorata di nuove tinte, entrate rapidamente nel dibattito pubblico come piattaforme alternative per il rilancio del Labour Party.
Già nel 1997 il vecchio rosso sangue dei lavoratori era stato accantonato nell’iconografia insieme all’inno The Red Flag e sostituito da un accattivante viola, a sostenere la rinascita di un New Labour sotto la guida del giovane Tony Blair. Dopo tredici anni di governo, il partito si ritrova oggi all’opposizione e fatica a trovare una propria voce nella crisi. Ma via via che i fronti interni di blairiti e browniani si dissolvono, la tavolozza del dibattito interno si arricchisce di nuove più radicali correnti di pensiero. Da una parte il Blue Labour, teorizzato da Maurice Glasman e sostenuto fra gli altri dall’esponente della sinistra Jon Cruddas, auspica una evoluzione (o rivoluzione) essenzialmente anti-progressista e anti-liberale. Partendo da una critica alla subalternità del New Labour all’economia di mercato e alle tesi neo-liberiste, questa corrente influente nel partito e in parte vicina al leader Ed Miliband promuove la direzione di un «conservatorismo radicale» fondato sui valori della patria e della famiglia, articolato nella lotta al crimine e all’immigrazione e in politiche economiche di tipo corporativo, con l’obiettivo di riagganciare le classi lavoratrici bianche allontanate da posizioni politiche progressiste plasmate sulle classi medie urbane intellettuali.
In risposta alle tesi del Blue Labour, un gruppo di politici più vicini alla via di Blair ha intitolato Purple Book un manifesto politico incentrato sulla riduzione del peso dello Stato e della pressione fiscale, per stimolare la crescita attraverso la sussidiarietà e l’intrapresa dell’individuo e delle comunità locali. Vecchie novità in rincorsa al fumoso progetto di «Big Society» di David Cameron. Infine si è aggiunta al dibattito la corrette del Black Labour, dal titolo di un pamphet pubblicato dal think tank Policy Network con l’eloquente sottotitolo «perché conservatorismo fiscale e giustizia sociale vanno a braccetto». Secondo questa tesi, il partito dovrebbe infatti impegnarsi a raggiungere la sostenibilità attraverso l’austerità e il rigore, appoggiando tagli alla spesa pubblica e allontanandosi dai sindacati. Se da una parte la linea si avvicina a quella di Gordon Brown, cancelliere dello scacchiere, e mira a presentare un'alternativa di governo credibile e realistica, dall’altra non può non essere vista come un cedimento di terreno al campo della destra conservatrice, che vuole oggi sfruttare la crisi economica per sferrare nuovi colpi a ciò che rimane del settore pubblico e dello Stato sociale.
Intanto, da sinistra, Caroline Lucas conduce la sua sfida alla guida del piccolo Green Party, raccogliendo consensi nelle platee più progressiste. Mentre nel campo di governo il blu conservatore si è fatto più scuro, un «blu oltremanica» che vorrebbe mollare gli ormeggi dall’Unione europea e che ha fallito nel tentativo camaleontico di tingersi del verde di una «green-reganeconomics»; invece il giallo-oro dei Lib-Dem è sempre più sbiadito, perse le battaglie che più gli stavano a cuore della legge elettorale e dell’europeismo. La prima tela su cui sarà combattuta la battaglia cromatica della politica britannica sarà quella delle elezioni di Londra del maggio 2012. Ma la Londra multietnica che ospiterà i colori olimpici sarà ridotta a scegliere, senza grandi entusiasmi, fra due tubetti usati: un biondo Boris Johnson o un invecchiato «Red Ken» Livingston.
Mentre il dibattito interno rimbalza vivace dai centri studi ai giornali e a internet, il Partito Laburista britannico si dimostra di nuovo un laboratorio intellettuale più attivo rispetto a molti partiti del centrosinistra europeo. Tuttavia, nessuna delle linee discusse sembra dare interpretazioni e risposte convincenti alla nuova situazione economica, sociale e politica in cui ci troviamo. Nessuna di queste sembra essere la tonalità giusta per riportare a vincere il Labour e i socialisti europei, per combattere i paradigmi conservatori o populisti delle destre, per costruire, come recitava il manifesto laburista del 2010, «a future fair for all».
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