Antieuropeismo british. Alla fine è (quasi) sempre una questione di soldi. La crisi europea sta sconvolgendo non solo il sistema economico, ma anche quello politico e, più in generale, il contratto sociale a cui i cittadini erano abituati. Questi stravolgimenti stanno drasticamente cambiando anche le nostre attitudini, con un ritorno sempre più forte verso localismo e nazionalismo e una crescente sfiducia verso le istituzioni politiche nazionali, ma soprattutto europee. Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Eurobarometro, la fiducia nei confronti della Ue, che è sempre stata tra il 40% e il 50% tra il 2004 e il 2009 e registrava ancora un solido 49% nell’estate del 2009, è crollata, a livello continentale, a un misero 21% nell’aprile di quest’anno. L’Unione europea è vista come incapace di fronteggiare i problemi creati dalla crisi: nell’area mediterranea l’euro è anzi identificato come una delle principali cause della corrente situazione economica.
In Gran Bretagna - Paese storicamente euroscettico - però queste polemiche sono state molto più soft. La sovranità monetaria ha evitato una crisi del debito e i conseguenti memorandum europei: l’austerity è stata una scelta politica fortemente voluta dai conservatori, che ne hanno fatto una bandiera ideologica senza che l’Ue richiedesse alcun tipo di intervento. Nessuno dunque accusa le istituzioni comunitarie o la moneta unica di contribuire al pessimo ciclo economico, tra i peggiori in Europa esclusi i Piigs.
Ciò nonostante gli inglesi nutrono ancora più sfiducia degli altri popoli europei nell’Europa unita. La fiducia in essa è sempre stata molto bassa - compresa tra il 20% e il 35% tra il 2004 e il 2009 - ma nell’aprile di quest’anno si è addirittura ridotta al 12%. L’Europa è spesso vista come uno superstato predatore che succhia risorse senza dare nulla in cambio e questo è sentito come ancora più insopportabile in un periodo in cui la crisi economica morde forte anche l’economia d’oltremanica (basti ricordare, a tale proposito, il titolo illuminante del “Daily Express” il 12 Febbraio di quest’anno: You pay 500£ to rescue Greece. British families are hammered again in Eu crisis con lo sfondo di una bella bandiera europea tanto per rafforzare il concetto). Quello dei soldi inglesi usati per aiutare “il continente” è da sempre un cavallo di battaglia dei tories, fin dai tempi del famoso rebate del 1984 con cui Margaret Thatcher pretese che una buona parte delle sterline versate da Londra a Bruxells (e allora usate soprattutto per la Pac che beneficiava molto poco il Regno Unito) fossero rimpatriate. I conservatori non hanno mai smesso di battere su questo punto e il loro ritorno al potere è coinciso anche con una nuova ondata di nazionalismo inglese, con lo Uk indipendence party in continua ascesa dal 2004 – non a caso in coincidenza con l’allargamento a est dell’Ue, che ha visto una straordinaria ondata migratoria di low-skilled workers dai nuovi Stati membri.
Le cose sono immediatamente peggiorate con l’inizio della crisi e la retorica dei “british jobs for british workers” cioè di posti di lavoro riservati ai cittadini britannici.
Il nuovo governo ha subito iniziato restringendo fortemente i criteri per i visti per i cittadini stranieri. Ma ovviamente l’unica maniera per ridurre sostanzialmente l’immigrazione è bloccare quella dall’Europa, e non è un caso che diversi leader tories abbiano già chiesto di uscire dal trattato di libera circolazione, che vorrebbe dire, in sostanza, abbandonare l’Ue, cosa che secondo il ministro Iain Duncan Smith favorirebbe fortemente l’economia britannica. Qualcosa di difficilmente immaginabile fino a soli pochi anni fa. Mentre Cameron vede come fumo negli occhi un’unione fiscale e ha già posto il veto sui nuovi trattati.
Allo stesso tempo anche l’atteggiamento laburista è cambiato: pur rimanendo un partito filo-europeo, anche il labour sembra voler assecondare la revanche nazionalista. Prima i parlamentari europei hanno votato contro il budget comunitario, insieme ai conservatori. Poi con una mossa di puro cinismo politico si sono uniti ai back-benchers, conservatori, i più accesi antieuropeisti, per approvare una mozione che contraddiceva quella del governo (che voleva congelare le spese del budget europeo, mentre i ribelli hanno votato con l’opposizione per ottenere degli irrealistici tagli). Più in generale anche la parte più progressista della società inglese sta perdendo fiducia nell’Europa. Il collasso della democrazia greca (e di quella ungherese) ha avuto una fortissima copertura mediatica sia sul “Guardian” che sulla Bbc, forse anche maggiore rispetto alla crisi economica. E le élite progressiste si cominciano a domandare a cosa serva l’Ue se partiti ipernazionalisti, quando non apertamente fascisti, possono sconvolgere il quadro politico senza che nessuno intervenga per fermarli.
Nonostante questo clima, per il momento, il governo si rifiuta di prendere in considerazione un referendum per uscire dall’Unione, verso il quale spingono molti hard-liners tories, e che avrebbe ottime possibilità di successo.
Ma, soprattutto alla luce della crescente impopolarità del governo, l’Europa potrebbe presto diventare un tema di campagna elettorale, che potrebbe spingere i conservatori a cavalcare l’ondata antieuropea fino alle sue estreme conseguenze.
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