Verso il G-20 di Londra . A due settimane dal G-20 che si terrà a Londra, sembra che la politica non riesca a trovare risposte per la crisi senza precedenti che si è abbattuta sull’economia mondiale negli ultimi mesi. L’ultimo vertice europeo non è stato, purtroppo, differente da tutti gli incontri tenutisi in questi mesi.
In circostanze così drammatiche, l’assenza di un adeguato coordinamento istituzionale a livello europeo rischia di rivelarsi un ostacolo insormontabile. La mancata ratifica della Costituzione europea negli scorsi anni ed il rallentamento (se non l’inversione) del processo di integrazione hanno contribuito a lasciare gli stati europei in balia delle onde della tempesta finanziaria. Nel mondo globalizzato, però, i singoli stati non paiono essere in grado di fornire risposte convincenti. Tanto per fare un esempio, le passività registrate dalle principali istituzioni finanziarie inglesi sono quantificate come pari ad oltre due volte il Pil del Regno Unito. E’ evidente, dunque, che il potere degli stati europei sia alquanto limitato in questo frangente. Ancora una volta, a dispetto di una valuta unica (per buona parte degli stati membri) e della forte integrazione economica esistente, l'Unione europea si dimostra più una lega di stati che un’ entità politica sovrana. L’eterogeneità dei Ventisette, in questo caso, non è un vantaggio ma un serio limite. Al vertice di Bruxelles di inizio marzo, alcuni paesi dell’Est hanno richiesto un piano speciale di salvataggio per le economie in transizione. Gli scheletri nell'armadio dei paesi dell'ex Oltrecortina sono ancora più gravi, con un sistema bancario fragile e con fondi molto ridotti e problemi macro-economici molto seri – mentre le politiche economiche hanno margine ridotto a causa delle restrizioni imposte dal Patto di Stabilità. Ma i Paesi della cosiddetta "vecchia Europa" non hanno voluto neanche sentire parlare di aiuti specifici alle economie in transizione e, per togliere ogni equivoco, non sono riusciti a organizzare nessun forma di coordinamento neanche al loro interno. Ognuno va per la sua strada, chi con più risorse, chi con meno, impegnandosi a difendere aziende e posti di lavoro "nazionali", come se il collasso di un Paese non avesse ripercussioni in tutto il mercato unico.
Lo stesso discorso si può fare a livello internazionale, dove chiaramente la situazione è ancora più complicata. Per affrontare la crisi economica internazionale più grave dal 1929 sarebbero necessarie forme di intervento intergovernative di ampio respiro. D’altronde ottant'anni fa le risposte nazionali al grande crollo di Wall Street furono autarchia, tariffe e guerre commerciali che aggravarono ulteriormente la crisi, ma la storia sembra aver insegnato poco. Il Fondo Monetario Internazionale fu creato proprio per intervenire in periodi di crisi, ma il suo ruolo negli ultimi mesi è stato marginale. I fondi disponibili per fronteggiare gli attuali movimenti di capitale sono praticamente nulli e gli stati membri non sono, ovviamente, disponibili ad alcuna forma di rifinanziamento. Anche Obama, che pure molto sta lavorando per proporre vie d’uscita dall’abisso, ha preferito concentrarsi sui piani di salvataggio nazionali – con assai poco successo finora, rinunciando a proporre soluzioni condivise a livello internazionale. Il G-20 potrebbe essere una occasione importante per cominciare a discuterne, anche se le prospettive attuali non promettono nulla di buono.
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