Elezioni europee: Regno Unito. Sono gli oltre novecentomila voti e i due seggi conquistati dal British National Party, il movimento xenofobo di Nick Griffin, il segno più evidente del mutato clima politico nel Regno Unito.

Con una working class atterrita dalla crisi economica e disponibile a lasciarsi affascinare dagli slogan di facile presa emotiva della destra estrema. Per il resto dalle urne (dove si è recato il trentacinque per cento dei cittadini, un afflusso ritenuto significativo in ragione di una media spesso inferiore) non sono emerse novità impreviste: del pesante tracollo laburista si parlava da settimane, al pari della larga vittoria dei conservatori e del lieve incremento degli euroscettici dell’Ukip (United Kingdom Independent Party), che bissano i buoni risultati del 2004 pur rimanendo in sostanza estranei al dibattito pubblico interno visto che non hanno peso a Westminster (dove non sono presenti) e affidano le loro fortune solo alla dichiarata ostilità verso la Ue.
Il preoccupante successo del Bnp è la sintesi della rivoluzione che da mesi sconvolge le gerarchie del consenso in Gran Bretagna. I laburisti appaiono in caduta libera ovunque e mancano elementi per ritenere realisticamente possibile una loro rapida resurrezione come accaduto dopo le europee del 2004, i conservatori si limitano ad attendere la fine della legislatura senza rendere noto il loro programma di governo, le formazioni estreme ottengono voti e visibilità intercettando grazie al proporzionale la rabbia di chi si sente ai margini a causa della recessione e ne attribuisce la responsabilità all’esecutivo.
Concentrarsi sui possibili errori commessi da Gordon Brown da quando, nell’estate del 2007, è diventato premier appare inutile oltre che fuorviante. Perché è il ciclo del Labour ad apparire ormai concluso. E anche se l’attuale leader decidesse di farsi da parte (ipotesi comunque improbabile) nessuno potrebbe risollevare a breve le sorti di un partito che ha costruito in oltre un decennio le sue fortune elettorali puntando sulla gestione di una fase espansiva dalla quale ha tratto beneficio la middle England che in precedenza aveva scelto i conservatori.
Le mappe del voto europeo nel Regno Unito si colorano di blu (il colore tory) o virano in nero verso il Bnp o l’Ukip per un’irrefrenabile ostilità nei confronti dei laburisti, che si accentua per laceranti battaglie interne. Ma anche l’unità non avrebbe salvato il Labour dal tracollo e non ne favorirebbe una tenuta alle politiche. In questo momento lo spazio per i riformisti, a dispetto dei buoni risultati ottenuti durante tre mandati consecutivi, si va infatti riducendo con una velocità sempre più elevata. I conservatori ne sono ben consapevoli e attendono di insediarsi a Downing Street mantenendo al vertice un gruppo dirigente che, salvo David Cameron, mostra pochi volti nuovi. Intanto nell’intero paese l’euroscetticismo avanza, irrobustito ora dalla xenofobia di cui si fa interprete il Bnp. Una tendenza che si ritrova in larga parte di una Ue dalla quale gli inglesi si sentono estranei pur condividendone le medesime resistenze e le identiche paure.