Il Covid-19 ha impartito alcune lezioni sullo Stato sociale, sulle quali riflettere al di là dell’emergenza, che ha visto ovviamente misure intese a tamponare, più o meno efficacemente, i bisogni più diffusi e più urgenti, soprattutto di minime garanzia reddituali.
La prima lezione è l’universalismo: qualunque misura sanitaria selettiva – e la selettività può essere di tanti tipi: economico in primo luogo, ma anche organizzativo, si veda l’esempio negativo di aree dove in passato è stata privilegiate la creazione di centri d’ eccellenza a scapito del presidio del territorio – è inefficace contro una pandemia di questo tipo. La sanità deve dunque recuperare una dimensione autenticamente universale sotto tutti gli aspetti.
Se poi gli studi mostreranno l’incidenza di fattori particolari nella diffusione, e nella aggressività del virus – certamente è già nota la pericolosità per le persone anziane - questo non dovrà contraddire l’impegno universalistico, bensì fornire occasione per interventi specializzati.
La seconda lezione può essere ricavata da quanto segue: la diseguaglianza nelle società contemporanee è arrivata a un punto tale e risulta fondata su meccanismi tali per cui neppure una pandemia potenzialmente egualitaria la attenua, anzi abbiamo sperimentato che ha accentuato le diseguaglianze: è diventata un moltiplicatore di diseguaglianza. Dunque, il contrasto alle diseguaglianze dovrà essere un obiettivo dello Stato sociale non per sanare quelle accentuate dalla pandemia – cioè riportare la situazione al prima – ma proprio per contrastare la situazione precedente.
Alcune direttrici principali degli interventi di diminuzione delle diseguaglianze sono da individuare sia nelle aree di intervento sia nelle modalità di intervento.
Quanto alle prime, la debolezza nel mercato del lavoro sia uno dei fattori principali di creazione di diseguaglianza. Tale debolezza non deve più essere individuata soltanto nella disoccupazione dei lavoratori dipendenti: esistono – la ricerca sociale e giuridica ne ha mostrato evidenza ormai da tempo – i lavoratori poveri, per bassi salari, precarietà o irregolarità di impiego. Ma anche nel lavoro autonomo esistono ampi strati di sofferenza, per il venire meno o il diversificarsi in modo incontrollato o imprevisto delle occasioni di utilmente svolgere la propria attività. Per non parlare di quel gran numero di soggetti che svolgono attività “create” dell’universo digitale, dei quali ancora si discute se siano salariati o imprenditori di sé stessi, ma che certamente sono ”deboli”.
L’intervento dovrebbe svolgersi su più di un piano. Da un lato la garanzia di un accettabile livello di reddito, che superi ogni remora nei confronti della prova dei mezzi ed essere quindi rapportata alle reali condizioni di bisogno (del singolo e/o della famiglia, ritornerò su questo punto). D’altro lato, deve essere offerta al cittadino una ampia gamma di servizi che includono la segnalazione delle occasioni di utilmente svolgere la propria attività, ma anche ad occasioni formative, sostegno nei rapporti con la finanza, la burocrazia ecc.
L’ampliamento dei servizi che dovrebbero essere offerti dallo Stato sociale costituisce l’evoluzione delle modalità di intervento alla quale ho alluso sopra. La storia dello Stato sociale ci insegna che la progressione verso l’egemonia del mercato è segnata anche dalla concentrazione degli interventi nei trasferimenti di reddito: danari in tasca affinché il cittadino acquisti sul mercato i servizi di cui necessità. Ma ci sono servizi importanti, se non essenziali, per la protezione delle condizioni di debolezza, dei quali il mercato distorce la fruibilità. Ciò non significa che debbano essere necessariamente servizi offerti gratuitamente, ma la loro accessibilità non deve essere governata dalla legge del mercato ma dal programma di Stato sociale.
Una seconda area di intervento assai importante al fine di contrastare la diseguaglianza è costituita dalle politiche per la famiglia. Procedendo con tutta la delicatezza necessaria in una area dove le scelte personali intime hanno grande rilievo e meritano il massimo rispetto, lo stato sociale dovrebbe intervenire per favore le condizioni che consentano a coloro che lo desiderano di creare un nucleo, la cui definizione di “famigliare” deve essere la più ampia possibile. Anche in questo campo c’è una prospettiva di tutela del reddito. L’alternativa tra tutela del reddito individuale o famigliare può dare occasione di comportamenti opportunistici, il contrasto ai quali però non deve superare le soglie del rispetto della personalità delle scelte nell’ambito dei rapporti affettivi e riproduttivi. Ma anche qui i servizi dovrebbe coprire la gran parte delle esigenze: pensiamo solo per fare l’esempio più banale ai servizi di cura di bambini e anziani.
I servizi di cura infatti sono uno dei settori nei quali dovrebbe concentrarsi una rinnovata attenzione dello Stato sociale per almeno due buone ragioni. La prima è l’aumento della esigenza di servizi di questo tipo, dovuto, da un lato all’invecchiamento della popolazione e dall’ altro alla opportunità, se non necessità, che si incrementi la partecipazione delle donne – sulle quali grava ancora attualmente la più parte delle attività di cura pressate in famiglia – al mercato del lavoro. La seconda buona ragione è che in questo settore, quando la cura è prestata da persone esterne alla famiglia – si concentra una grandissima parte del lavoro irregolare, che merita di trovare finalmente una tutela.
Quali le criticità di questo che potrebbe a buona ragione essere definito un disegno utopistico?
La prima è rappresentata dai costi. Per reggere i costi di una modifica radicale dell’intervento di Stato sociale occorre ripensare lo schema fiscale attuale, il che può già contribuire di per sé e per sua parte a contrastare le attuali condizioni di diseguaglianza. La seconda è lo sforzo organizzativo che un programma siffatto comporta, e qui si innesta la questione delle degenerazioni burocratiche di cui soffre la contemporaneità, soprattutto in Italia. Ma questo, che non è un altro aspetto, ma determinante, del medesimo discorso e dovrà essere affrontato, credo, con strumenti che vano oltre i programmi dello Stato sociale.
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