La memoria famigliare è una memoria di comunità: le generazioni fanno filtrare ricordi che si trasformano in narrazioni, che a loro volta assumono valore dall’essere condivise e tramandate. Chiaramente, non tutti i ricordi passano questo filtro, molte esperienze vengono perdute nei passaggi interiori, interpersonali e intergenerazionali. Queste memorie si condensano a volte in consapevolezze, altre in stereotipi. Molto spesso si generano dei vuoti attorno a quello che «non si può dire». Questa reticenza avvolge in particolare l’area del trauma: non solo per le vittime, ma anche per i perpetratori. E, di conseguenza, si creano dei buchi nelle memorie, e storie, delle loro famiglie, di cui le generazioni più giovani possono non avere cognizione. Per molte famiglie europee questa zona oscura si colloca attorno agli anni della Seconda guerra mondiale.
Il regista austriaco Nils Olger nei primi anni Duemila aveva iniziato a rivolgere a suo nonno Olaf Jürgenssen alcune domande sulla sua esperienza come ufficiale medico distaccato nell’esercito tedesco. Ma non nella Wehrmacht, quanto nelle Waffen SS. Le risposte dell’uomo, molto anziano e quasi cieco, oscillavano tra l’assenza di ricordi, la superficialità, la minimizzazione, l’estraneità. Dopo la sua morte, avvenuta nel 2012, la nonna consegnò al nipote una cassetta di ferro, definendone il contenuto «i nostri segreti»: distintivi, lettere e fotografie riferite al periodo della guerra. Cercando meglio nella casa dei nonni, Olger trovò poi 11 rullini fotografici, 377 immagini scattate da Olaf Jürgenssen durante il suo servizio militare.La memoria famigliare è una memoria di comunità: le generazioni fanno filtrare ricordi che si trasformano in narrazioni, che a loro volta assumono valore dall’essere condivise e tramandateGrazie al riconoscimento di alcuni luoghi presenti in quelle fotografie, Olger ha iniziato a delineare un paesaggio che, rafforzato dal progressivo approfondimento storico, è diventato un percorso attraverso la storia di suo nonno: dopo l’addestramento a Buchenwald, Jürgenssen venne aggregato alla 16. SS-Panzergrenadier-Division «Reichsführer SS» e in particolare alla formazione di Walter Reder, il reparto esplorante. Ungheria, Romania e poi Italia: nel giugno del 1944 è in Versilia.
Seguendo le tracce fotografiche, Olger è così tornato sugli stessi luoghi, per trovare le domande giuste da fare a quelle immagini altrimenti sfuggenti. Quando arriva a Vinca, ai piedi delle Alpi Apuane, non conosce nel dettaglio che cosa vi è accaduto nell’estate del 1944: sono le persone che incontra, i sopravvissuti, i testimoni, i loro discendenti a raccontare i massacri di donne, anziani, bambini. Tra l’inizio di agosto e i primi giorni di ottobre diversi reparti di questa divisione SS misero in atto un sistematico piano di distruzione di villaggi e sterminio degli abitanti. Sant’Anna di Stazzema, Vinca, San Terenzo, Bergiola Foscalina, e poi, al di là dell’Appennino, Monte Sole: in due mesi, le vittime civili della 16. SS-Panzergrenadier-Division furono più di duemila.
Da questo viaggio sulle tracce di suo nonno, Olger è tornato a Vienna con un carico di domande ancora più pesanti e radicali. Domande da rivolgere alla propria famiglia, ma anche alla società e alla politica austriaca. Nel 1985 il ministro della Difesa Friedhelm Frischenschlager accolse calorosamente all’arrivo in aeroporto Walter Reder, rilasciato dopo trent’anni di carcere in Italia: per decenni le associazioni di reduci avevano negato le stragi, fino a incidere sulla politica nazionale e ottenerne infine la scarcerazione. Poco dopo il suo rientro in Austria, Reder ritrattò la dichiarazione di pentimento che gli era valsa la libertà.Se la seconda generazione di tedeschi, quella del Sessantotto, si è rivolta ai propri padri chiedendo conto delle scelte compiute negli anni del nazismo, oggi è la terza generazione, quella dei nipoti, a guardare e interrogare il comportamento e le scelte dei propri nonniAncora oggi la nonna di Nils Olger mostra imbarazzo davanti alla telecamera – e allo sguardo del nipote – mentre racconta come nel 1945 le sembrasse tutto sommato una buona cosa che i prigionieri di Mauthausen lavorassero nelle cave, all’aperto, invece che stare chiusi in prigione: nessuna domanda la sfiorava, allora, sulle condizioni di vita in quel campo di concentramento, dove il tasso di mortalità era altissimo. Nella vita quotidiana di questa longeva coppia della borghesia austriaca gli anni del nazismo sono un buco.
Omissioni, edulcorazioni, oblii, reticenze, dinieghi: le memorie familiari continuano a esserne piene, non solo in Austria. Se la seconda generazione di tedeschi, quella del Sessantotto, si è rivolta ai propri padri chiedendo conto delle scelte compiute negli anni del nazismo, oggi è la terza generazione, quella dei nipoti, a guardare e interrogare il comportamento e le scelte dei propri nonni. A differenza dei propri genitori, figli dei Täter o Mitläufer (perpetratori o seguaci conformisti del nazismo), i nipoti – non solo tedeschi, ma europei – sembrano essere interessati anche ad aspetti più sottili: quelli che guidano le forme di manipolazione e di adesione, i meccanismi che portano a scegliere mossi dall’opportunismo, dimenticando la morale, l’empatia, la giustizia. Un’indagine sul passato famigliare che sembra essere improntata a una vigilanza sul proprio presente – come ha sottolineato anche Géraldine Schwarz, nel romanzo-saggio di pochi anni fa I senza memoria. Storia di una famiglia europea – consapevole dei rischi insiti nel non saper riconoscere il riproporsi di questi stessi meccanismi.
L’ultima fotografia di Olaf Jürgenssen in Italia viene scattata tra ottobre e novembre 1944 presso una casa colonica nelle prime colline a Sud Ovest di Bologna, a pochi chilometri da Marzabotto, da Monte Sole. Il 28 settembre era stato distaccato presso un altro battaglione. Non è presente all’operazione di rastrellamento e uccisione condotta dai suoi compagni contro donne, bambini, anziani, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944. Ai primi di febbraio del 1945 tornò in Austria per affrontare alcune questioni burocratiche: in vista del suo imminente matrimonio, doveva sciogliere dubbi sulla purezza della sua razza, incrinata dalla presenza nella genealogia di una nonna giapponese. Nei primi giorni di maggio, subito dopo il matrimonio, riuscì a farsi passare come medico, professione che esercitò per tutta la vita.
Sabato 3 ottobre, a 76 anni dalle stragi, Nils Olger presenterà il documentario Eine eiserne Kassette al teatro comunale di Marzabotto.
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