Vogliamo chiamarli, con sir Francis Bacon, idola tribus? O più prosaicamente «luoghi comuni»? Eppure non c’è scampo: in materia di pensioni vi sono ormai convinzioni radicate (veri e propri pregiudizi scolpiti nel cervello della gente dalla vulgata televisiva) che non si sforzano di misurarsi con i dati statistici, con gli andamenti della spesa pensionistica sul Pil o con le prospettive demografiche, ma assumono e fanno proprie tutte le rivendicazioni che emergono da una società, come quella italiana, composta da persone che fin dalla nascita sembrano aspettare il momento di andare in pensione. Per questi motivi vi sono ormai verità ossificate che è pressoché impossibile contrastare e che si scaricano quasi con violenza sulla cosiddetta «riforma Fornero» del 2011, alla quale si attribuiscono tutte le responsabilità, anche quelle degli altri.

Le principali misure che hanno provocato un’elevazione significativa dell’età pensionabile – l’aggancio automatico all’attesa di vita, la «finestra mobile» (tra la maturazione e l’accesso al diritto) di un anno per i dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi, l’avvio della parificazione di genere dell’età di vecchiaia – furono assunte dal governo Berlusconi. Vediamo la questione del requisito anagrafico, più croce che delizia del dibattito in tema di previdenza. Uscite di casa al mattino di un giorno qualsiasi, fermate un passante e chiedetegli bruscamente a quale età si può andare in quiescenza dopo la riforma Fornero. Il vostro interlocutore risponderà certamente che occorrono 70 anni, o poco meno. I più preparati si fermeranno a 67 anni.

La realtà invece è un’altra: «Nonostante un incremento graduale dell’età dovuto alle recenti modifiche normative, una percentuale rilevante di pensionamenti avviene prima dei 60 anni». Questa affermazione è farina del sacco dell’Inps e campeggia nella pubblicazione periodica «Statistiche in breve» riguardante le pensioni vigenti al 1o gennaio 2017 e liquidate nel 2016 (con l’esclusione delle gestioni dei dipendenti pubblici e dell’ex Enpals).

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 4/17, pp. 638-647, è acquistabile qui]