L’Europa è sempre stata terra di migrazioni: come origine di flusso di espatrio e come destinazione di persone in cerca di miglior vita. E il Mediterraneo è stato centro di molte fasi di civilizzazione proprio come area di movimento e di incrocio di popoli e di persone. In particolare, il Mediterraneo oggi rappresenta una “regione migratoria” al centro della quale si colloca la frontiera di Schengen, la frontiera esterna dell’Unione europea, controllata da muri e dalla necessità di dotarsi di un visto per coloro che desiderano attraversarla. I dati Eurostat del 2014 mostrano che i Paesi con il maggior numero di residenti stranieri provenienti dall’area mediterranea sono la Germania (7.011.811), il Regno Unito (5.047.653), l’Italia (4.922.085), la Spagna (4.677.059) e la Francia (4.157.478). Il numero di richiedenti asilo, provenienti principalmente da Siria (49%), Afghanistan (21%), Iraq (8%) ed Eritrea (4%), si trovano in Germania (202.815), Svezia (81.325), Italia (64.625), Francia (64.310), Ungheria (42.775) e Regno Unito (33.010). Quasi tutte le principali rotte migratorie verso l’Ue coinvolgono la regione mediterranea: la prima è quella del Mediterraneo centrale, che parte dall’Africa settentrionale, in particolare dalla Libia, e viene percorsa dalle persone in fuga dai Paesi dell’Africa sub-sahariana e dal Medioriente; la seconda è quella del Mediterraneo orientale, che va dalla Turchia verso la Grecia, la Bulgaria e Cipro; la terza è quella del Mediterraneo occidentale, che va dall’Africa settentrionale alla Spagna; ed infine la rotta balcanica, per entrare in Europa dal Kosovo, dall’Afghanistan e dalla Siria (cfr. Ministero dell’Interno, 2015).

Dopo il dramma di Lampedusa dell’ottobre 2013 e dopo molte altre analoghe tragedie, la capacità dell’Ue di prendersi carico in maniera solidale e sostenibile – e dunque nel rispetto dei diritti fondamentali – dei movimenti migratori nel Mediterraneo ha mostrato alcune fragilità. L’Italia, Malta e la Grecia, più di tutti, hanno avvertito la mancanza della solidarietà europea. A seguito dello sconcerto provocato dalla tragedia di Lampedusa, il governo italiano, guidato da Enrico Letta, ha autorizzato un’operazione militare e umanitaria nel Mediterraneo centrale, denominata Mare Nostrum, destinata a soccorrere i naufraghi e a lottare contro i trafficanti di migranti.

Questa operazione non ha, tuttavia, impedito l’afflusso di nuovi migranti e quindi di nuovi decessi in mare. Per questo motivo, la presidenza italiana nel secondo semestre del 2014 è riuscita a far adottare al Consiglio di giustizia e affari interni (Gai) dell’ottobre 2014 un approccio strategico europeo, volto a migliorare la gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale. Tale approccio si sarebbe dovuto imperniare attorno a tre assi: la cooperazione con i Paesi terzi, il rafforzamento della gestione delle frontiere esterne, e quindi dell’Agenzia Frontex, e l’implementazione di misure nazionali tese a mettere in pratica il regime dell’asilo comune.

Tuttavia, la solidarietà europea, a lungo evocata dall’Italia, si è realizzata sostanzialmente negli sforzi, soprattutto finanziari, dell’Agenzia Frontex, nata nel 2005 con il compito di assistere gli Stati membri dell’Ue nelle operazioni di controllo delle frontiere esterne comuni, marittime, terrestri e aeree. Sempre sulla medesima scia, il 1° novembre 2014 l’Ue ha lanciato l’operazione Tritonper rafforzare il controllo delle frontiere nel Mediterraneo centrale con il pattugliamento a 30 miglia dalle coste italiane. Triton, che ha visto il progressivo smantellamento dell’operazione italiana Mare Nostrum, fa parte sempre dell’Agenzia Frontex. Anche la Grecia è stata assistita dall’Ue, con l’inaugurazione il 1° febbraio 2015 dell’operazione Poseidon. Il 23 aprile 2015, il Consiglio europeo ha triplicato i budget di entrambe le operazioni, da 2,9 a 9 milioni di euro mensili. Sebbene non escludano interventi di salvataggio in mare, in applicazione delle leggi di diritto internazionale, queste operazioni si sviluppano in prossimità delle coste europee e non di quelle dei principali Paesi di partenza dei rifugiati; ciò ha suscitato le preoccupazioni di molte Ong e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), che si sono interrogati sui rischi di aumento del numero dei decessi in mare.

Per rafforzare ulteriormente la solidarietà europea alle frontiere esterne dell’Ue, sono state offerte varie soluzioni. Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha suggerito di aumentare ulteriormente i finanziamenti per Frontex, attraverso contributi aggiuntivi da parte degli Stati membri. Lo sviluppo di frontiere intelligenti (Smart Borders Package), in grado di intercettare coloro che entrano e soggiornano irregolarmente nello spazio Schengen e quindi oltre la durata del proprio visto, e di darne tempestiva notizia ai Paesi di origine, è stato oggetto di un progetto pilota condotto nel 2015, di cui è ancora al vaglio la proposta di implementazione.

Per quanto riguarda l’asilo, si è discusso di attuare il regime d’asilo europeo comune (Raec), già adottato nel 2013, al fine di uniformare le condizioni di asilo tra gli Stati membri e di offrire uno status unico alle persone che godono della protezione umanitaria europea. Nel frattempo, per sostenere i Paesi europei maggiormente sotto pressione, e in ottemperanza alle conclusioni adottate dal Consiglio di giustizia e affari interni dell’ottobre 2014, l’Ue ha invitato gli Stati membri a rispettare maggiormente l’insieme delle disposizioni del regolamento di Dublino per la designazione dello Stato membro responsabile dell’esame di una domanda di asilo, regolamento da molti considerato ormai superato e comunque da riformulare.

L’estate 2015 ha visto il ripetersi del fenomeno dei migranti annegati in mare, dei barconi affondati, dei muri eretti, oltre naturalmente alla crisi greca. Secondo i dati di Frontex, solo nel mese di luglio gli arrivi di migranti sono stati 50 mila in Grecia, 34 mila in Ungheria e 20 mila in Italia, segnando un più 200% rispetto al luglio dell’anno precedente. Complessivamente, secondo i dati dell’Unhcr, nel 2015 si è registrato circa un milione di ingressi via mare e 3.771 persone sono morte o risultano disperse nel tentativo di attraversare le frontiere europee. L’acuirsi della guerra in Siria ha infatti costretto molte migliaia di persone a seguire la rotta balcanica, per dirigersi verso i Paesi dell’Europa settentrionale.

Le reazioni degli Stati attraversati dai migranti sono state diverse. Ad esempio, Macedonia, Serbia e Ungheria hanno eretto delle barriere per respingere i flussi dei migranti, mentre la Germania ha annunciato che ne avrebbe accolto 800 mila nel 2015 e ha suggerito la creazione di hot spot – centri per l’identificazione dei migranti – in Italia e in Grecia, probabilmente come risposta a eventi drammatici, tra i quali la morte del piccolo Aylan e quella di altri cinquanta migranti soffocati all'interno di un tir in Austria. La creazione di questi centri dovrebbe essere accompagnata da una redistribuzione dei richiedenti asilo per tutti i Paesi dell’Ue, con molte resistenze politiche e organizzative per perseguire questi obiettivi.

Considerato l’andamento delle guerre in Siria, Somalia, Eritrea, Yemen e Sudan, ci si aspetta che gli ingressi e le richieste d’asilo non diminuiranno nel prossimo futuro, anche e soprattutto perché le migrazioni verso i Paesi europei sono espressione di una domanda dei valori che l’Ue oggi rappresenta. I valori della pace, della democrazia, dei diritti dell’uomo, dello Stato di diritto, della libertà e della mobilità. Il complesso di questi valori è conosciuto come acquis communautaire e costituisce l’insieme sedimentato di regole, disposizioni, politiche, trattati, accordi e decisioni che l’Ue ha adottato fin dalla sua origine. L’acquis communautaire, oltre a costituire la frontiera materiale e immateriale per gli Stati che desiderano integrarsi nell’Unione europea, è divenuta la motivazione principale per la quale i migranti decidono di attraversare le frontiere europee per inserirsi nella società europea.

Sulla base di queste considerazioni, appare evidente non solo che i movimenti migratori alle frontiere dell’Europa non abbiano ragione di arrestarsi nel prossimo futuro, ma anche che la gestione di questi movimenti e delle loro conseguenze, politiche, sociali ed economiche, debba essere necessariamente europea. Più che un segnale di solidarietà per gli Stati, questo significherebbe il rafforzamento dell’unione politica degli Stati.

 

[Questo articolo è uscito su «Neodemos» il 12 febbraio]