L’aprile elettorale è iniziato domenica 3 in Ungheria e si è concluso domenica 24 con il ballottaggio delle presidenziali in Francia e le elezioni per il rinnovo del Državni zbor (l’Assemblea nazionale slovena). Il premier magiaro Orbán è stato riconfermato per la terza volta consecutiva, superando da solo i sei principali partiti d’opposizione coalizzati. Le consultazioni in Francia e Slovenia hanno invece rappresentato delle significative battute d’arresto per il populismo di destra.
Come previsto, in Francia ha retto l’union sacrée contro il Front National. Molto meno scontata era invece la netta affermazione in Slovenia della nuova formazione politica ambientalista GS (Gibanje Svoboda - Movimento Libertà) dell’imprenditore Robert Golob, che ha ottenuto oltre il 34% dei voti e 41 seggi su 90, staccando di quasi dieci punti il premier uscente Janez Janša, spesso descritto dai media sloveni e internazionali come un aspirante Orbán.
I casi francese e sloveno evidenziano l’erosione dei partiti tradizionali a vantaggio dei movimenti personali. Ma il secondo, in particolar modo, attesta la volatilità di tali formazioni, dato che, come si è visto nelle ultime tre elezioni, possono nascere a poche settimane dal voto, vincere, o comunque esprimere il premier, e perdere o quasi la propria rappresentanza parlamentare al termine della legislatura. Tra i partiti tradizionali, l’unico che regge è proprio la Slovenska Demokratska Stranka (Partito democratico sloveno) dell’uscente Janša. Perde un punto e mezzo rispetto alle elezioni del 2018, ma guadagna due deputati. Guadagna un seggio l’alleato Nova Slovenija–Krščanski demokrati (Nuova Slovenia-Cristiano-democratici) pur arretrando di qualche decimale.
Perdono voti a vantaggio di GS le altre formazioni di centrosinistra che avevano espresso alcuni dei premier più recenti. La rivelazione delle precedenti elezioni, la lista dell’ex comico Marjan Šarec, che aveva guidato il primo governo della legislatura appena terminata, passa dal 12,6 al 3,7%, e da 13 a 0 parlamentari. Rimane fuori anche il partito personale di Alenka Bratušek, già premier tra il 2013 e il 2014, che in quattro anni dimezza i consensi, dal 5,1 al 2,6%. Calano dal 9,9 al 6,6 i socialdemocratici (SD) dell’attuale presidente dei socialisti europei Tania Fajon, che esprime anche il capo dello Stato ed ex premier (2008-2012) Borut Pahor, scendendo da 10 a 7 deputati. Alleandosi a quest’ultima formazione, GS disporrebbe già della maggioranza, per quanto risicata. Ma Golob punta a estenderla, oltre all’esponente della minoranza italiana, a Levica, la sinistra radicale a cui, col 4,3% dei voti, sono andati 5 seggi, ossia meno della metà di quanto aveva raccolto quattro anni prima.
L’elettorato è parso turbato più dal rischio della deriva autoritaria che dalle politiche economiche, in un Paese che ha ripreso a crescere dopo il rallentamento impresso dalla pandemia
L’affluenza è aumentata di ben 17,48 punti rispetto alle legislative precedenti. Segno che gli sloveni hanno raccolto l’appello delle forze progressiste e della società civile a non concedere i pieni poteri che il premier uscente sperava di ottenere dalle elezioni. A sbarrargli la strada sono stati soprattutto i giovani e gli abitanti delle aree urbane, dalla capitale Lubiana, a Maribor, Celje e Capodistria, in cui GS ha raccolto le preferenze di un votante su due. L’elettorato è parso turbato più dal rischio della deriva autoritaria che dalle politiche economiche, in un Paese che ha ripreso a crescere dopo il rallentamento (-4,5% nel 2020, ma +5,6% nel 2021; fonte: Statistični urad RS) impresso dalla pandemia.
L’uscente Janša non ha mai lesinato argomenti ai suoi detrattori, collezionando figure spesso imbarazzanti nel corso dell’ormai ultratrentennale carriera politica, e delle due precedenti esperienze a capo del governo (2004-2008, 2012-2013). I tanti sloveni che hanno più di quarant’anni – e del resto l’età media della popolazione è di 44,5 anni – ricorderanno il giovane Janša che, da ministro della Difesa, arringava i compatrioti in mimetica dagli schermi della Tv di Stato nei giorni concitati della secessione dalla Jugoslavia (1991). Nella foga, si lasciava spesso sfuggire segreti militari che avrebbero potuto agevolare l’esercito di Belgrado.
Nelle prime due esperienze da premier aveva dato notizia di sé per la commemorazione dei domobranci, i collaborazionisti dei nazisti, e per aver dichiarato che, non fosse stato per la dabbenaggine di Tito, la Slovenia avrebbe potuto annettere Trieste, tutta Gorizia e il cividalese. Il che riuscì ad attirargli in un sol colpo gli strali degli antifascisti in patria, molti dei quali vivono ancora nel culto del maresciallo, e della destra revanscista italiana. A quest’ultima, e agli eredi politici di Tuđman in Croazia, si era più recentemente riavvicinato vagheggiando una sorta di internazionale «del ricordo», dopo i recenti (2018-2020) rinvenimenti di centinaia di vittime del regime titoista nelle foibe nel triangolo tra Fiume, Lubiana e Zagabria.
L’utilizzo del revisionismo revanscista ha un peso notevole nell’azione politica del premier uscente, ma l’attività prediletta è l’attacco alla stampa, che attua non solo verbalmente, ma anche mediante leggi liberticide, e questo fin dal primo governo. Janša, che di professione è pubblicista, ha acuito la sua avversione per i colleghi, sloveni e non, da quando la sua seconda premiership fu bruscamente interrotta dalla condanna e poi dall’arresto per tangenti sulle forniture militari. Il leader della destra slovena venne infine prosciolto per insufficienza di prove al termine di un procedimento non ineccepibile, a detta della Corte costituzionale, a cui però i media avevano dato un grande risalto.
Nel terzo mandato, giunto a seguito di un cambio di maggioranza e in piena pandemia, i presunti complotti della stampa sono diventati il Leitmotiv della comunicazione di Janša. Oltre a prendere di mira nei frequenti tweet alcuni giornalisti, attirando le censure della Commissione europea, si è spinto ad accusare i media di aver sabotato la campagna vaccinale per via della risposta poco entusiasta da parte degli sloveni. Ma anche volendo sarebbe stato difficile arginare i frequenti testacoda del governo sulle riaperture e lo scetticismo alimentato dai social che ha ingrossato le file del movimento no vax. Il quale, pur avendo mobilitato decine di migliaia di persone per le manifestazioni anti-Green pass, non è riuscito a trarre vantaggi elettorali dalla protesta. Con il 2,9% dei voti, la lista collegata ai no vax è rimasta fuori dal Parlamento.
Per il resto, l’ultimo biennio della legislatura è stato scandito dalle congratulazioni di Janša a Trump «per la riconferma» alle presidenziali del 2020, quando il resto del mondo si era già complimentato con Biden per la vittoria, per le bordate xenofobe contro i migranti che attraversano il Paese, per la volontà di raddoppiare la centrale nucleare di Krško, che sorge in una zona sismica. Infine, la maggioranza ha votato degli emendamenti al codice penale ostativi alle indagini per frode nel momento in cui la Slovenia riceveva la prima tranche del proprio Recovery Fund da 2,5 miliardi di euro. Alla stampa il premier uscente ha dedicato anche buona parte della pirotecnica conferenza con cui ha concluso il semestre di presidenza dell’Unione europea a fine 2021. Il che ha offuscato qualche risultato raggiunto sul fronte della regolazione dei mercati e dei servizi digitali, del salario minimo, e dell’avvicinamento della Croazia all’area Schengen e del resto dei Balcani alla Ue.
Hanno destato inquietudine a Bruxelles, oltre agli attacchi alla stampa, alla sostituzione repentina dei vertici della Tv pubblica, dell’agenzia di stampa e finanche dell’istituto di statistica, il continuo rinvio della nomina dei membri sloveni della Procura europea, giunta solo alla fine del semestre e in “forma provvisoria”. Ma a preoccupare è stato soprattutto il consolidamento del rapporto politico con Orbán, i cui oligarchi hanno finanziato le reti televisive conservatrici slovene Nova24 TV e Planet TV. Le due emittenti si sono trasformate in canali di propaganda simili alla trumpiana oann.com.
Le posizioni dei due leader si sono invece distanziate sulla guerra ucraina. Orbán ha impostato la propria azione governativa dal 2010 in poi sulle relazioni cordiali con Putin e si è accodato con ostentata riluttanza alle sanzioni decise dall’Unione europea contro la Russia. Janša ha invece fatto parte della terna di premier dell’Unione europea, assieme al polacco Morawiecki e il ceco Fiala, che si sono recati in marzo a Kiev per testimoniare solidarietà all’Ucraina. Dopodiché il premier sloveno ha tuonato contro l’“avventurismo filoputinianto” degli oppositori.
Il centrosinistra sloveno ha sempre coniugato riformismo e fedeltà ai valori euro-atlantici: per quanto si sia presentato come un uomo nuovo, Robert Golob è ascrivibile a quella tradizione
L’attacco non ha colto nel segno. Del resto, nelle sue numerose e spesso riuscite reincarnazioni, il centrosinistra sloveno ha sempre coniugato riformismo e fedeltà ai valori euro-atlantici, fin dai tempi di Janez Drnovšek, il premier che guidò la Slovenia decennio successivo all’indipendenza, gettando le basi per l’ingresso nella Nato e nella Ue (entrambe del 2004). Per quanto si sia presentato come un uomo nuovo, Robert Golob è ascrivibile a quella tradizione. Ha lavorato nello staff di Drnovšek tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, per poi avviare un’attività imprenditoriale nel settore delle rinnovabili, e fare una breve ricomparsa sulla scena politica come sottosegretario per l’energia nel governo Bratušek. Le competenze acquisite si riveleranno utili per imprimere all'economia quella svolta verde promessa da Golob. Resta da capire l’impatto che il protrarsi della guerra in Ucraina avrà sulle scelte economiche e politiche.
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