Domenica si è votato per eleggere i Parlamenti di Assia e Baviera, una questione “locale” ma anche un test per l’Ampel, la coalizione semaforo al governo in Germania, prima delle europee di giugno e, soprattutto, delle elezioni di settembre a Est (con il rinnovo dei Parlamenti di Brandeburgo, Turingia e Sassonia), considerate particolarmente delicate per il successo che, almeno nei sondaggi, premia Alternative für Deutschland (AfD).
Un successo che si è materializzato anche in queste elezioni “occidentali”, contribuendo a mandare in pezzi la comoda narrazione di quanti hanno descritto l’estremismo di destra come una “malattia degli orientali”, gli Ossi, connessa alla loro storia: figli di una dittatura, non avrebbero mai compreso fino in fondo la democrazia e il pluralismo. La storia della ex Ddr e quella della Riunificazione hanno ancora tanto da dire – lo dimostra il successo di libri e articoli, non sempre di grande qualità, proprio sulla Germania Est – e indubbiamente esiste una specificità dell’identità “orientale”: per troppo tempo, soprattutto sui giornali europei, ha prevalso invece un racconto che ha ridicolizzato la particolarità della storia dell’Est, provando contemporaneamente quasi a ghettizzare l’estremismo nella speranza che in tal modo fosse possibile neutralizzarlo. Ma non ha funzionato. Il disagio degli “orientali” è, in realtà, diffuso e si sta trasformando in una reazione apertamente identitaria e nazionalista, come si vede in quasi tutte le pubblicazioni della variopinta galassia delle destre tedesche.
Cominciamo osservando la riconferma dei governi uscenti: in Baviera la Csu di Markus Söder (37%, zoppicante) continuerà a governare in coalizione con i Freie Wähler, partito bavarese di centrodestra, che ottiene il 15,8 % (grande successo per il suo presidente Hubert Aiwanger). Anche in Assia dovrebbe essere riconfermata la coalizione uscente, in questo caso di conservatori, Cdu (34,6%, oltre 7 punti percentuali in più) e Verdi (14,6%, in calo di 5), ma ha i numeri anche un governo tra conservatori e socialdemocratici. Perdono i partiti al governo federale: male i Verdi, malissimo la Spd. I Liberali sono fuori dal Parlamento di Monaco ma per un soffio riescono a entrare in quello dell’Assia, ed è un risultato importante anche nel quadro dei risvolti per la politica federale. In Baviera AfD è terza forza politica (con il 14,6% sarà la prima forza di opposizione e annuncia una “svolta radicale”), in Assia è addirittura seconda forza politica con il 18,4%. In entrambi i casi c’è una crescita rispetto alle elezioni del 2018: in Assia del 5,3% (circa 140 mila voti) e in Baviera del 4,4% (quasi 700 mila voti).
I numeri segnalano l’avanzata della destra più radicale, soprattutto per la questione immigrazione e le sue conseguenze, ed è ragionevole pensare saranno confermati alle prossime europee
Sono numeri da non sottovalutare, che segnalano l’avanzata della destra più radicale, nemmeno a dirlo soprattutto per la questione immigrazione e le sue conseguenze, ed è ragionevole pensare saranno confermati alle prossime europee. Una radicalizzazione di parte dell’elettorato che non significa necessariamente la radicalizzazione di tutto lo spettro politico. Anzi. Contrariamente all’immagine di un Paese “malato” (ci torneremo), c’è anche da essere ottimisti per lo stato di salute della democrazia tedesca.
Innanzitutto, il voto boccia i partiti di governo ed è qualcosa di “naturale” dopo due anni difficilissimi come quelli che la coalizione semaforo ha dovuto affrontare. Nel 2018, quando alla cancelleria sedeva ancora Angela Merkel, furono proprio le elezioni di Baviera e Assia, dopo la “crisi” del 2015, a costringerla a fare un passo indietro (rinunciando alla presidenza della Cdu). Allora AfD raccolse un consenso davvero enorme in entrambi i Parlamenti: raggiunse il 13,1% in Assia, con un balzo addirittura del 9%, e 10,2% in Baviera, dove il partito si presentò per la prima volta. Se è naturale che in tempi di crisi i partiti di governo vengono puniti, queste elezioni non fanno eccezione. E, almeno per il momento, non dovrebbero avere effetti sulla tenuta della coalizione che, tuttavia, traballerà ancor più di prima e continuerà a dare un’immagine di sé molto litigiosa e divisa.
Su quanto siano fondate le critiche al governo è però argomento sul quale vale la pena discutere. La stampa tedesca non è mai stata molto tenera con l’Ampel, sottolineandone spesso, forse anche eccessivamente, le divisioni interne, comunque fisiologiche in una coalizione che, essendo “a tre gambe”, rappresenta un esperimento della storia recente tedesca. A voler essere cattivi, nella stampa pesa la liberazione da una certa soggezione verso il governo o quantomeno il suo vertice, nella quale erano stati posti analisti e commentatori negli ultimi anni di Angela Merkel, quando la cancelliera sembrava ormai intoccabile.
Quello che va rimarcato è che siamo ben lontani da una situazione “weimariana”, altro termine di paragone particolarmente apprezzato dagli osservatori e mai calzante. La democrazia tedesca sembra capace di offrire soluzioni diverse alla crisi perché plurale è lo spettro di partiti autenticamente “democratici”: sono ancora possibili diverse coalizioni di governo e chiare opposizioni (democratiche) che, tuttavia, richiedono uno sforzo comune dei partiti, come ha saggiamente avvertito il decano degli storici tedeschi Heinrich-August Winkler. Ad esempio, la Cdu, se vuole evitare una nuova “Turingia”, dovrebbe comprendere e accettare la distanza tra Linke e AfD, la cui presunta “identità” è stata alla base della politica conservatrice degli ultimi anni (anche con la complicità di Angela Merkel). Al contrario: la capacità di integrazione della democrazia funziona se tutti i partiti democratici contribuiscono, in particolare nelle fasi di crisi, a rinnovare il proprio ruolo e la propria agenda in ragione del particolare contesto in cui si opera.
La democrazia tedesca sembra capace di offrire soluzioni diverse alla crisi perché plurale è lo spettro di partiti autenticamente “democratici”
I Grünen (Verdi) soffrono come gli altri partiti di maggioranza (non bisogna farsi ingannare dal pesante tonfo rispetto al 2018, perché allora il partito raggiunse il massimo storico: il calo ha quindi una componente fisiologica). Tuttavia, cominciano a evidenziarsi, da un lato, i limiti del progetto del partito, che sembra sempre meno capace di esprimere una ricetta che tenga insieme questione ambientale e altre crisi, a partire da quella sociale; dall’altro, il logoramento dell’esperienza di governo, con i ministri verdi finiti spesso sotto accusa per le loro scelte: ad esempio, dopo due anni, sulla politica estera femminista di Annalena Baerbock non c’è ancora chiarezza. Un partito che dovrà sempre più fare i conti con i limiti e, anzi, le difficoltà di una identità troppo “plurale”, le cui anime non sempre riescono a conciliarsi.
A sinistra, la Spd del cancelliere Scholz non raccoglie quanto sperato e in Assia assiste addirittura alla bocciatura della ministra federale degli Interni, Nancy Faeser, candidata come Presidente e chiaramente sconfitta (meno 4,7% e partito che finisce dietro ad AfD e peggior risultato di sempre).
Scholz ha spesso invitato in questi mesi a non parlare di un “Paese in crisi” e “malato” e ha anche risposto in modo particolarmente duro (una novità, visto che al cancelliere è imputata una certa vaghezza nelle sue uscite pubbliche) alle critiche proprio dell’“Economist”:
“Questo giornale anglosassone ci critica per la presunta ossessione tedesca di non contrarre debiti all’infinito. L’articolo consiglia sostanzialmente di contrarre nuovi debiti, da 100 a 200 miliardi, ogni anno. Ma Io dico: no! Contrarre debiti senza fine non risolve i nostri problemi e ne crea di nuovi” (“Die Welt”, 17.9.2023).
La ragione è semplice: il cancelliere sa che il Paese è chiamato a uno sforzo enorme su più fronti (la trasformazione radicale della politica energetica e la necessità di confermarsi Paese industriale, la gestione della nuova politica di difesa “europea” a partire da una svolta tedesca avviata con la Zeitenwende, la gestione del fenomeno migratorio) e che, nonostante tutti i distinguo, proprio i partiti “democratici” dovranno confrontarsi su questi temi. Tutto il resto fa parte della propaganda degli estremisti: una realtà che può essere contenuta e fronteggiata solo con il governo di questi processi. Così si spiega la sua richiesta all’opposizione di collaborazione avanzata al Bundestag settimane fa: la consapevolezza di una sfida davvero comune più che un segno di debolezza. Ma anche la certezza che le destre sfruttano uno Zeitgeist contro il quale non basta pensare “soltanto” di investire nuovi fondi: non è, insomma, solo con l’economia che si risolve il problema.
E qui arriva anche la crisi della Linke. Ormai più una serie Netflix che una questione politica: nell’ultima puntata, Sahra Wagenknecht ha annunciato di non ricandidarsi con il partito (ma conserverà il suo attuale seggio al Bundestag) e, probabilmente, di volerne fondare uno nuovo. Secondo la maggioranza della Linke questi attacchi non fanno bene al partito che infatti ne risente nelle urne. Ma non spiega interamente la débâcle proprio in Assia, regione nella quale ha iniziato a fare politica Janine Wissler, attuale co-presidente del partito, dove la Linke perde oltre il 3%.
Finiti i tempi di un “partito rappresentante dell’Est”, la Linke, proprio ora che paradossalmente è presente quasi solo a Est, fatica a recuperare un proprio progetto politico, concreto e alternativo a quello della Spd. Anzi: da più parti arrivano critiche al governo e persino richieste di impossibili “cambiamenti radicali”, ad esempio come nel caso dell’economista Isabella Weber, che pure il governo federale ha voluto nella commissione sul prezzo del gas e che chiede ora una nuova agenda politica.
A partire da questa impostazione, la Linke ha basato la sua campagna elettorale sul motto “Tutti vanno a destra, noi no”, nel quale tutti i partiti di governo e la Cdu sono accomunati dall’andare a destra, che è esattamente lo stesso errore che i conservatori hanno fatto proprio nei confronti della Linke.
Proprio questa impostazione tradisce l’incapacità della Linke, o quantomeno con parte della sua maggioranza, di confrontarsi con la responsabilità del momento codificata da Winkler e di contribuire a un clima diverso. Del resto, l’idea che ci possa essere una “svolta” nelle politiche dell’Ampel contribuisce solo a rendere più affascinanti le sirene di AfD. Al momento, quindi, non sembrano esserci alternative a una lenta scomparsa del partito nato nel 2007.
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